8.5
- Band: NEVERMORE
- Durata: 00:57:11
- Disponibile dal: 21/07/2005
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Self
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Un’ora impressionante, alienante. Un’ora di stupenda musica, orchestrata con il solo scopo di ridefinire i canoni di un genere, sempre più di proprietà esclusiva di questa grandissima band, gli americani Nevermore, arrivati ora alla pubblicazione del loro nuovo, bellissimo, lavoro intitolato “This Godless Endeavor”. Il contratto rinnovato con la Century Media, la ‘pulizia’ dall’alcool del singer Warrel Dane e l’inserimento di un secondo chitarrista avevano già dato voce a ipotesi di cambiamento, di rivoluzione in seno alla proposta del quintetto. E quale sorpresa nel constatare che il cambiamento è senz’altro in positivo. Ed è proprio la performance di Warrel Dane ad evidenziare questo nuovo corso. Il singer appare più cattivo, più maligno, più interpretativo (dote già in forza al singer fin dalle prime apparizioni con i Sanctuary), nonostante mostri qualche problema nell’eseguire i suoi famosi screaming acuti. Ascoltate l’opener “Born” e stenterete a riconoscerlo, specialmente nell’inizio della song, cantato quasi in growl. La song è di una potenza inaudita, e mostra una bella apertura melodica nel ritornello, ed i solos del perfetto Jeff Loomis fanno il resto. Con “Final Product” torniamo alle sonorità del capolavoro “Dead Heart In A Dead World”, quindi buonissime melodie coadiuvate da un lavoro ritmico di tutto rispetto. L’amara “My Acid Words” mostra tutta la rabbia di Warrel Dane, intento a raccontare i suoi difficili rapporti col fratello (da quanto dichiarato ai microfoni di Metalitalia.com dal chitarrista Jeff Loomis), ma fatica a colpire nel segno. Forse il pezzo meno riuscito del lotto. Dopo la buona “Bittersweet Feast”, arriviamo al capolavoro dell’album, per chi scrive, insieme alla title-track finale. Stiamo parlando di “Sentient 6”, mid-tempo stupendamente congegnato tra partiture acustiche e soffuse (sono udibili addirittura accompagnamenti di pianoforte), e sfuriate potentissime intrise di melodie stupefacenti. E l’album scorre senza punti di debolezza, macinando riff e melodie con estrema semplicità, mostrando una rinnovata voglia di fare musica (in alcuni episodi del precedente “Enemies Of Reality” avevamo scorto un semplice esercizio di mestiere). L’intransigente “The Psalm Of Lydia” mostra l’eccelsa tecnica sweep del chitarrista e la successiva “A Future Uncertain” mostra come per la band sia semplice e naturale giocare con tempi, sonorità, e di conseguenza emozioni. Arriviamo al secondo vero capolavoro dell’album, la conclusiva “This Godless Endeavor”, una delle tracce più lunghe mai composte dai nostri. Iniziamo con passaggi acustici, dove il cerimoniere Dane scandisce le lyrics, attirandoci nell’inquietante mondo fatto di oscurità e pessimismo. Passaggi di chitarra molto epici ci introducono al primo riff heavy della song, e la precisione del riffing si scontra con l’istintività delle vocals, creando un mix davvero riuscito, dove la tecnica incontra l’emotività. Altro cambio di tempo, altro riff, altre sensazioni. E’ come trovarsi nel mezzo di un temporale, tra sfuriate di vento, lampi, tuoni, e momenti di calma. La vera summa di tutta la storia della band di Seattle, storia passata e speriamo storia futura. “This is the end, my friend” ci dice Warrel Dane, lasciandoci già un senso di solitudine alla fine dell’album. Sarà difficile resistere alla tentazione di riascoltare almeno duemila volte questo “This Godless Endeavor”. Ed ora non ci resta che attendere la calata in Italia per il tour europeo, per goderci uno spettacolo degno del nome Nevermore (ultimamente, per vari problemi, infatti avevano dato prova di scarsa professionalità sul palco), sicuri che questo nuovo corso possa portare ad altri lavori della caratura di questo “This Godless Endeavor”. Mai come in questo caso l’attesa è stata premiata…