8.0
- Band: NEW SKELETAL FACES
- Durata: 00:37:57
- Disponibile dal: 01/11/2024
- Etichetta:
- Peaceville
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La band che non ti aspetti dalla California: potrebbe essere questo lo strillo di lancio per i New Skeletal Faces, trio che scopriamo colpevolmente solo grazie al loro approdo sui lidi Peaceville in occasione del secondo album.
Con uno spirito nichilista e strafottente, prendono avvio dal death rock nella sua accezione più classica, anche nel look da sfatti vampiri gotici, per mischiare poi generi tra loro differenti, capaci però di trovare un amalgama euforico e decisamente coinvolgente: post-punk, goth, crust, cenni di black metal a un capo e di new wave all’altro, in un minestrone che si rivela goloso e, per quanto derivativo, decisamente personale.
L’avvio è affidato a una chitarra che sembra uscita pari pari da “Money Is Not Our God” dei Killing Joke, e gli echi di Geordie tornano spessissimo nei riff ossessivi che punteggiano il disco, così come anche il basso pulsante nelle due versioni era Raven (“Ossuary Lust”) e Youth (“Zeitgeist Suicide”); per i meno fanatici della band londinese, insomma, troviamo sia linee tuonanti e di impatto, sia momenti ritmatissimi, degni di quella scena che vedeva i primi Cult o The Mission al centro, cui sicuramente i New Skeltal Faces guardano con attenzione.
La Londra del 1980 trova richiami anche a The Fall e The Pop Group nelle atmosfere allucinate, ma soprattutto ai Public Image Limited in certi ottimi scambi tra la sessione ritmica rocciosa e la voce sguaiata, da vaticinio post-apocalittico à la Lydon (soprattutto in “Wombs”). In generale, le linee vocali afferiscono più al crust e alle peggiori nefandezze sonore – e buttiamoci dentro anche gli Amebix, a questo punto, per completezza di citazioni – ma si sposano bene anche quando i tre giocano a fare i Christian Death (“Enchantment Of My Inner Coldness”).
Il finale è affidato a una sincera e ben fatta cover di “Raise The Dead” dei Bathory, e il cerchio si chiude magnificamente in poco più di mezz’ora: la band sa il fatto suo, ha scelto un suono ben preciso, ma in cui riesce a inserire un po’ tutto ciò che i membri amano, senza mai suonare fuori posto o banalmente nostalgici, anche grazie a una produzione costruita ad hoc.
Di riferimenti ne abbiamo citati molti, forse troppi, per qualcuno; ma la loro formula funziona, mischia bene le carte e mostra comunque una componente di spiccata originalità: vi assicuriamo che, se amate certe sonorità, “Until The Night” resterà sul vostro piatto a lungo.