7.0
- Band: NIBIRU
- Durata: 00:57:41
- Disponibile dal: 22/09/2017
- Etichetta:
- Argonauta Records
- Distributore: Goodfellas
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Arrivati al quarto album in cinque anni, non possiamo più inserire i Nibiru nel circolo delle sorprese, quanto delle realtà consolidate nel panorama psychedelic-doom internazionale. La presenza al Roadburn 2016 e un’attività live puntuale, seppure non massiccia, ha fatto circolare nell’ambiente il nome di questa psicotica formazione torinese. La quale ha dovuto far fronte in tempi recenti all’abbandono di Siatris, assieme al frontman Ardath l’anima creativa del progetto. In ossequio al loro spirito libero, che li ha visti cambiare pelle da un disco all’altro mantenendo un filo conduttore preciso, i Nibiru ci offrono quello che è a tutti gli effetti il disco più classicamente metal della discografia. Già con “Padmalotus” si era capito che lo sperimentalismo psichedelico di “Caosgon” e “Netrayoni” era stato asservito a un sentire proprio del metal estremo ed erano apparsi pure assalti frontali e strappi brucianti assenti nei primi due album. In “Qaal Babalon” ci spostiamo pienamente in territori sludge-doom e sono ridotti al lumicino gli arrangiamenti estrosi e le ‘stranezze’ ancora ben presenti nel predecessore. La stessa spiritualità drogata che andava a infettare irrimediabilmente le pubblicazioni precedenti viene inglobata in un suono che appare come l’estremizzazione totale dei concetti di sfinimento, marciume, intossicazione. Prendendo spunto dall’ala più malata del black metal e dallo stoner-doom refrattario a cambi di tonalità e melodia, le quattro tracce affogano nei meandri di immondi incubi, contorcendosi atrocemente, per minuti infiniti, in lunghe agonie che strisciano orribili fra feedback corrotti, chitarre nere e sbrecciate, batteria e basso rintronanti. La voce assume le sembianze di un latrato disumano, l’uso dell’italiano appare un riuscito escamotage per comunicare un appiccicoso feeling morboso. Le linee vocali, ricorrendo a rantoli, improvvidi cambi d’umore, isterismo portano a un genuino malessere durante l’ascolto e in alcuni casi, quando prendono una piega teatrale e particolarmente enfatica, richiamano certe cose degli Spite Extreme Wing, confessando implicitamente l’amore per certo ermetico extreme metal di nicchia. Nelle sonorità, invece, si fondono la stregoneria degli Electric Wizard e il nichilismo degli Eyehategod, imbastarditi dall’angosciante follia che in questi modi è tipica dei Nibiru e di nessun altro. I tempi dilatati entro cui le tracce sono disegnate appaiono questa volta gestiti con minore inventiva, essendoci precluse quelle vie lastricate di eccentricità che rendevano prima uniche le composizioni della band. Si è puntato sul creare disagio a oltranza, dissonanze e sovrapposizioni di rumore, una distorsione feroce e una sezione ritmica ossessiva riescono benissimo a condurci in stati mentali alterati e a provocare sgomento, ma il gioco sembra tirato troppo per le lunghe. Ad esclusione della più ombrosa “Oxex”, che vira verso l’ambient-drone e si riallaccia alle atmosfere di “Netrayoni”, orchestrata seguendo un raggelante mantra soffuso e un tambureggiare tremendo nella sua compostezza, le altre tre tracce presentano un’estenuante monotematicità. Cosa voluta, immaginiamo, perché la negatività che arriva addosso prende allo stomaco e induce, se non adeguatamente preparati, a interrompere la fruizione per cercare altrove un rasserenamento. Così, però, pur rendendosi protagonisti di una performance di rilievo, i Nibiru perdono quelle connotazioni speciali che gli avevano permesso di distinguersi nell’intasato calderone stoner-doom. Poco male, forse nutrivamo aspettative fin troppo elevate per questa nuova opera, che comunque non mostra vero scadimento qualitativo e potrà dare inquietanti vibrazioni a chi nella musica è in perenne ricerca di qualcosa di ancora più buio, disperato, di quanto già si conosca.