7.5
- Band: NIGHTWISH
- Durata: 01:00:47
- Disponibile dal: 07/06/2004
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
L’attesa è finita e “Once” sarà a breve sul mercato, per deliziare l’udito di tutti i metallari che amano sognare ad occhi aperti, persi nei suoni epici e cullati da sirene ammaliatrici… Dico proprio deliziare, perché l’ultimo nato in casa Nightwish prospetta già di bissare i grandi successi di vendite dei suoi predecessori, graziato com’è dalla giusta ispirazione. Fin dai primi ascolti, infatti, questo sesto lavoro ci appare equilibrato, perfettamente calibrato tra tutti gli elementi che, negli anni, sono andati ad identificare il trade-mark della formazione finlandese. Anzi, il nuovo album contribuisce a riconfermare a gran voce il loro ruolo di punta all’interno della sovraffollata scena power/speed sinfonica. Ho parlato diffusamente delle prime impressioni sulla musica di “Once” recensendo “Nemo”, il CD singolo di lancio. Ascoltare interamente il platter ha sostanzialmente confermato le aspettative e ha stimolato ulteriori spunti ed osservazioni positivi. I Nightwish non hanno certo inventato un genere né rivoluzionato alcunché rispetto al tipo di musica che propongono, ma hanno sempre avuto il grande pregio di muoversi entro coordinate ben precise e riconoscibili, apportando di lavoro in lavoro migliorie esecutive, tecniche, compositive e compiendo anche qualche sperimentazione senza snaturarsi. Questa strada, fatta di impegno, di obiettivi graduali e non proibitivi, li ha premiati facendo sì che arrivassero al cuore di chi li ascolta. Non c’è dubbio che, per gli inguaribili dreamer, i Nightwish occupino a ragione un posto d’onore nella graduatoria della musica più emozionante. “Once”, fin dalle battute iniziali, si presenta compatto, strutturato e notevolmente complesso. I suoni nitidi dei Finnvox Studios caratterizzano al meglio la potenza e la bombastic attitude delle undici song. Come già detto, è piacevolmente riscontrabile una componente heavy marcata, che riporta ai fasti di “Oceanborn”, bilanciatissima con gli inserti orchestrali, in un mutamento continuo di protagonismi. Le vocals, di conseguenza, denotano maggiore aggressività e dinamismo, potenziato dall’ottimo duettare di Marco e Tarja, molto in sintonia. Anche la sezione ritmica è dinamica e pulsante, mentre le chitarre sono completamente dedite all’epicità del riffing, con qualce eccezione di armonie malinconiche. Su tutto aleggia il lavoro certosino del mastermind Tuomas alle keyboard, utilizzate in modo ottimale per connotare le atmosfere dei brani. I reali plus di “Once” risiedono però in altri tre elementi: in primis nel songwriting efficace e maturo, secondariamente nelle doti spettacolari della singer Tarja, infine nella presenza della London Session Orchestra, a cui si deve la maestosità classico-operistica dell’intero disco. E non dimentichiamo che è l’orchestra della soundtrack di “Lord Of The Rings”! “Once” è come un viaggio a ritroso in un tempo immaginario, attraverso volti dimentichi del proprio nome e del proprio passato, concepito con la magniloquenza di una colonna sonora che descriva i cali e i picchi emozionali dell’esperienza umana, letta alla luce di una proposta coerente ed organica. Si comincia con l’attacco heavy trascinante di “Dark Chest Of Wonders”, in cui cori e refrain accattivante la fanno da padroni insieme ad un’insolita venatura oscura. La successiva “Wish I Had An Angel” presenta inaspettatamente influenze rammsteiniane, miste ai cori onnipresenti e a bei cambi d’atmosfera; invece “Nemo” e “Planet Hell” sono già note ai nostri lettori, quindi non è il caso di aggiungere altre considerazioni. “Creek Mary’s Blood” è forse la song più insolita dell’intero album, o quanto meno quella con la tematica più inusuale. Chi si aspetterebbe di sentire un brano ispirato agli indiani d’America su un album dei Nightwish? Eppure “Creek Mary’s Blood” è molto evocativa, soprattutto grazie alla partecipazione di John Two-Hawks, della tribù dei Lakota, il quale recita e suona gli strumenti a fiato tipici della sua tribù, tra danze sciamaniche e storie di guerra e di invasione. “Siren” è un altro highlight, con una Tarja dolente e incantatrice che sorvola melodie ipnotiche e orientaleggianti, cristallizzate sul finale. “Dead Gardens” ritorna alle piccole sperimentazioni rammsteiniane, aggiungendo pesantezza metallica e aggressività alle vocals della singer, pulite e potenti. Anche “Romanticide” è fondata su ritmi serrati e su cambi frequenti, mentre Marco e Tarja sembrano duettare un dialogo di morte che culmina in deflagrazioni continuate. Ma è con i dieci minuti di “Ghost Love Score” che i Nightwish confezionano la prova migliore. La composizione è una suite epica e maestosa, una sorta di mini-colonna sonora, in cui l’orchestra ha un ruolo preponderante. Tuomas si dev’essere davvero sbizzarrito scrivendo la musica, che prevede continui cambiamenti e l’esaltazione del talento di soprano di Tarja con delle linee vocali davvero ispirate. Memorabili i cori dell’apoteosi finale, che suggellano un progetto ambizioso e centrato in pieno. Infine “Kuolema Tekee Taiteilijan” e “Higher Than Hope”: la prima è una sorta di lamento folk, appena accompagnato da archi e fiati, molto triste ed elegiaco (ma non durante una cacofonia orrenda, che in finlandese maccheronico suona più o meno “sixxi, mixxi, lappsi”… insostenibile!); la seconda è la conclusione ideale del lavoro, un crescendo di intensità struggente verso un’ipotetica salvezza. Dopo questa descrizione (sommaria, per certi versi, e soggettiva) di ciò che potrete trovare sull’album, non posso che caldeggiarvi l’ascolto, dirvi di abbandonarvi alle note. Un’ora di musica in cui salpare per lidi sconosciuti… esprimete il vostro desiderio, “Once” darà ad esso una forma e lo ammanterà di sogno. Per chi non vuole svegliarsi…