7.0
- Band: NILE
- Durata: 00:54:54
- Disponibile dal: 01/11/2019
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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I Nile raggiungono il traguardo del nono full-length con addosso più occhi e aspettative che mai. La separazione con lo storico frontman Dallas Toler-Wade, avvenuta praticamente a sorpresa nel febbraio 2017, ha gettato una buona fetta del pubblico death metal nello sconforto, e nonostante la nuova line-up assemblata da Karl Senders abbia lasciato una buona impressione di sé dopo le prove live degli scorsi anni, erano in molti a nutrire più di un dubbio su questo ritorno discografico.
Facendo quadrato intorno alla cabarbietà del cinquantaseienne membro fondatore, all’intenso drumming di George Kollias e all’entusiasmo delle reclute Brad Parris (basso/voce) e Brian Kingsland (chitarra/voce), la formazione del South Carolina si riaffaccia sul mercato con quello che – lo diciamo subito – è probabilmente l’album migliore che potesse concepire in questo momento della sua carriera; una lunga narrazione che sembra fare tesoro di tutto quanto è avvenuto dalla pubblicazione del seminale “Amongst the Catacombs of Nephren-Ka” a quella del più recente “What Should Not Be Unearthed”, spiccando da subito per la varietà e l’elasticità delle soluzioni offerte negli undici capitoli che la compongono.
Si parte come di consueto dalle incredibili impalcature ritmiche di Kollias, e da lì ci si districa in un giardino di soluzioni US death metal perfettamente curato, all’interno del quale è impossibile non avvertire la mano esperta di chi ne ha plasmato e definito le forme. Che si tratti di aggressioni in cui l’asticella della tecnica raggiunge livelli parossistici (“The Oxford Handbook of Savage Genocidal Warfare”), di suite dal taglio drammatico e cinematografico (“Seven Horns of War”) o di bordate che arrivano persino a ripescare istanze death/thrash (“That Which Is Forbidden”), la tracklist dà continuamente l’impressione di essere stata studiata con la dovuta calma e attenzione, guardando unicamente al passato dei suoi autori per riconsolidare un monicker che, invero già da prima dell’abbandono di Toler-Wade, appariva un po’ dimesso. Parlando poi di confronti, Kingsland non fa rimpiangere troppo chi lo ha preceduto nel ruolo, sfoggiando un growling non certo distante anni luce e compensando la mancanza di una timbrica caratteristica con una buona dose di grinta e autorevolezza.
In sostanza, di “Vile Nilotic Rites” non convince solo la tipica produzione Nuclear Blast (oltremodo pulita e laccata), mentre non ci sentiamo di puntare il dito contro le situazioni in cui dal songwriting emergono riff e melodie utilizzati svariate altre volte dai Nostri. Arrivati a questo punto, i Nile dovevano innanzitutto ribadire di essere ancora in pista e di non volersi incamminare sul viale del tramonto, e si può dire che questa oretta di musica realizzi il loro obiettivo.