7.5
- Band: NILE
- Durata: 00:50:03
- Disponibile dal: 28/08/2015
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Riscatto. Questa la parola d’ordine per i Nile nel 2015, costretti a risollevare la testa e a dimostrare nuovamente tutto il loro valore dopo che il precedente “At The Gate Of Sethu” ne aveva minato la credibilità a causa di un appiattimento del songwriting e di una resa sonora incomprensibilmente scarna e poco dinamica. Tre anni sono passati dall’uscita di quel disco, un lasso di tempo considerevole che a giudicare dal contenuto di questo “What Should Not Be Unearthed” è senza dubbio servito alla band del Sud Carolina per riordinare le idee e ripresentarsi sul mercato in grande stile, mettendo a tacere le malelingue che la dipingevano come prossima al viale del tramonto e stampando un sorriso a trentadue denti sui volti di migliaia di fan speranzosi. Accantonate una volta per sempre le sterili velleità techno-death del suddetto “At The Gate…” e calcando la mano su una produzione piena e potentissima, Karl Senders e soci optano qui per la migliore e più furba delle soluzioni: coniugare la scorrevolezza e la relativa orecchiabilità degli album targati Nuclear Blast (con un occhio di riguardo per l’apprezzato “Those Whom The Gods Detest”, richiamato anche dai toni della copertina) con alcune istanze degli esordi, giocando sì sul sicuro e senza assumersi troppi rischi, ma finendo per centrare ugualmente il bersaglio in virtù di una tracklist solida e trascinante, ricca di brani dal valore intrinseco molto alto. Soprassedendo sulla buona dose di mestiere messa in campo – inevitabile date le premesse – l’ascolto si configura quindi come una piacevole immersione in una pozza di death metal monolitico e brutale, il cui spaventoso quoziente tecnico viene puntualmente incanalato in composizioni che sono l’equivalente sonoro di un coccodrillo intento a massacrare la propria vittima. Ovvio, non tutte le ciambelle riescono col buco e qualche lieve calo di tono (specie nel finale, basti pensare alla buona ma non eccelsa “Rape Of The Black Earth” o ai sei minuti della prolissa “To Walk Forth From Flames Unscathed”) è comunque presente, ma si tratta di sbavature che all’interno del quadro generale non inficiano troppo sul risultato. D’altronde, per ognuna di queste, trovano spazio diverse bordate fra capo e collo che siamo certi figureranno nelle prossime setlist e che poco o nulla hanno da invidiare alle cosiddette hit del passato. Parliamo, ad esempio, dell’opener “Call To Destruction”, vero e proprio manifesto del Nile-pensiero con i suoi stacchi lancinanti e le sue ripartenze al fulmicotone, dell’incalzante “Evil To Cast Out Evil”, melodica e caratterizzata da alcune splendide armonizzazioni chitarristiche, o della maestosa “In The Name Of Amun”, episodio vario e sfaccettato che tra parti serratissime e decelerazioni intrise di pura epicità finisce per esaltare sia l’operato della coppia d’asce Sanders/Toler-Wade, che soprattutto quello di George Kollias dietro i tamburi, inarrivabile in termini di precisione e fantasia. Volendo tirare le somme, “What Should Not Be Unearthed” è un capolavoro? No di certo. Si colloca ai livelli di un “Black Seeds Of Vengeance” o di un “Annihilation Of Wicked”? Spiacenti, ma quei fasti non sono destinati a ripetersi. Ciò nonostante, è quel che si dice un signor disco. Quanto basta per ascoltarlo a ripetizione nei mesi a venire.