7.5
- Band: NINE INCH NAILS
- Durata: 145:00
- Disponibile dal: 26/03/2020
- Etichetta:
- The Null Corporation
Spotify:
Apple Music non ancora disponibile
“Con le notizie che sembrano farsi di ora in ora più cupe, ci troviamo a vacillare tremendamente tra un sentimento di speranza e uno di totale disperazione – che spesso si alternano di minuto in minuto. Anche se ci definiamo delle persone antisociali che preferiscono stare da sole, questa situazione ci ha fatto davvero apprezzare il potere e la necessità del contatto umano.” Così, praticamente dal nulla, Trent Reznor e Atticus Ross decidono che questo cesto di materiale nuovo potesse essere un nuovo doppio album, da destinarsi gratuitamente al download (purtroppo per ora solo in .mp3), e che dovesse – soprattutto – essere messo sotto il nome Nine Inch Nails. Praticamente dal nulla, dicevamo, ma addentrato naturalmente nella situazione critica che il mondo sta vivendo in questi giorni di quarantena. “La musica – ascoltarla, pensarla, crearla – ci ha aiutati ad affrontare qualsiasi momento, buono o cattivo. Con questo pensiero, abbiamo deciso di lavorare fino a tarda notte e completare questi due nuovi ‘Ghosts’ per aiutarci a mantenere in qualche modo la salute mentale.‘Ghosts V: Together’ è per quando le cose sembrano andare bene e ‘Ghosts VI: Locusts’… beh, potete immaginarlo.”
Due album nuovi, dunque, strumentali, ben distinti l’uno dall’altro, ma più a livello di premesse e strutturazione ultima che di contenuto vero e proprio, possiamo tranquillamente dircelo. Anche e soprattutto se riferiti alla prosecuzione del progetto “Ghosts I-IV” del 2008, che allora era stato un’uscita di fortuna altalenante tra i grandissimi ascolti e le delusioni più annoiate. E che, effettivamente, era ancora meno strutturato nelle sue parti. Oggi, però, che il monicker NIN ha raggiunto ormai la fama di ‘Trent Reznor che fa quello che vuole con musicisti bravi’ o anche ‘Il gatto e la volpe Reznor-Ross’ non importa più se le aspettative sono disattese oppure no. Anche e soprattutto perché il tutto arriva inaspettatamente, senza comunicati stampa, gratis e subito messo in rete a disposizione di tutti. Che lo si voglia o no, queste sono ancora cose che possono meritare un applauso.
Veniamo alla musica, dunque. “Ghosts V: Toghether” si affaccia su un orizzonte più roseo e speranzoso (seppur sempre in un territorio reznoriano), ovviamente figlio della produzione in studio di soundtrack ormai sempre più frequente, e che tira in ballo un aspetto ‘ritmico’ più evidente solamente nell’ultima “Still Right Here”, emblematica chiusura, che ricorda gli ultimi sballi di “Watchmen” per HBO. In entrambi i lavori c’è sicuramente la volontà di presentare pezzi che sono uno sbrodolamento di bei suoni, rintocchi reznoriani di piano e atmosfere rarefatte, ma tutto sommato la compattezza del discorso riesce ad emergere abbastanza, soprattutto nella più breve (quasi cinque minuti) “Your Touch” e nell’altrettanto emblematica “Hope We Can Again”. Lo swarmatron è tenuto a bada in questo disco e sembra quasi una piccola carezza nostalgica quella di “Together”, che non a caso dà il nome al tutto, e che risulta un pezzo piacevolmente riuscito anche se tolto dal suo contesto di appartenenza.
“Ghosts VI: Locusts” è invece un disco più interessante dal punto di vista delle trovate compositive, pur restando sempre ancorato al discorso generale del ‘buttar fuori roba perché tanto siamo Reznor e Ross’. Anche qui, la capacità dei due riesce ad appagare il discorso, riuscendo a colpire nel segno subito coi rintocchi – quasi da “La Maschera della Morte Rossa” di Poe – della prima “The Cursed Clock” e poi con le sempre più spettrali visioni di “The Worriment Waltz”, che fanno ricordare come gli ultrasuoni possano nuocere al vostro cane, a cui è altamente sconsigliato l’ascolto. L’intrusione dei fiati, però, appaga il nostro orecchio e ci fa ricordare le ultime sortite di “Bad Witch”. Lo swarmatron, in questa sezione, è più che mai fido compare, vero e proprio terzo membro aggiunto, e la sua presenza aleggiante resta sintomatica di quel “Locusts” emblematicamente ripropone nel titolo.
In sostanza questo è materiale ottimo per apprezzare ancora una volta lo status di chi certamente può permettersi di trovarsi in studio, piazzare suoni sempre meravigliosi, riciclare le due idee che usa ormai da vent’anni e fare ancora bella figura. Un voto è superfluo, ma se ci deve essere è comunque ampiamente positivo. La musica è cambiata, Reznor lo sa. E probabilmente l’ha sempre saputo.