NINE INCH NAILS – Hesitation Marks

Pubblicato il 06/09/2013 da
voto
7.0
  • Band: NINE INCH NAILS
  • Durata: 61:50
  • Disponibile dal: 03/09/2013
  • Etichetta:
  • Columbia

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Questo è un disco che va preso con le tenaglie. L’attesissimo ritorno sulle scene del monicker Nine Inch Nails, che sembrava aver chiuso i battenti definitivamente dopo l’epocale concerto al Wiltern Theater del 2009. Oscar alle spalle, dischi solisti e progetto How To Destroy Angels, il buon vecchio Reznor torna a produrre un nuovo halo della sua discografia targata NIN, che va a porsi dopo l’ultimo, e controverso, “The Slip”. Questa volta aiutato da una (quasi) nuova combriccola che vede schierati Atticus Ross e Alan Moulder in studio, il fido Rob Sheridan alla direzione artistica, Adrian Belew, Alessandro Cortini, Ilan Rubin alla batteria, Joshua Eustis  alla chitarre, Eugene Goreshter,  Lindsey Buckingham e il mitico Russell Mills per l’artwork. Abbandonata inoltre l’autarchia discografica, il tutto è sotto etichetta Columbia. Si arriva anche da un nuovo tour di ritorno sulle scene iniziato in Europa che li ha anche visti presenti lo scorso 28 agosto al Foum di Assago. Un tour che ha ricevuto pareri entusiasti in tutte le performance sostenute, trovando anche grandi appoggi proprio sui pezzi presentati in anticipo di questo “Hesitation Marks”. “Copy of A”, “Came Back Haunted” e “Find My Way” sono già infatti state presentate più volte in rete e in tutte queste esibizioni europee, risultando ottimi innesti in setlist degne dei tempi migliori. Come molti dei dischi precedenti, “Year: Zero” e “The Slip”, anche questo nuovo “Hesitation Marks” soffre la concorrenza delle performance live, dove il nome NIN è sinonimo di perfezione. Sentire questi tre brani dal vivo e poi sentirli da disco è come privarli della loro aurea sacrale, del loro spirito portante, della loro anima. Il minimalismo è stato certamente un tratto inequivocabile di tutta la produzione reznoriana, insieme con il suo senso melodico che affiora dai panorami industriali intessuti di decadenza, rumore ed elettronica. Ma è come se, tornando quasi all’essenzialità dei beat di “Pretty Hate Machine”, mischiata con l’attitudine quasi post-rock da colonna sonora dei lavori con Atticus Ross e How To Destroy Angels, si senta qualcosa di incompleto: quel qualcosa di speciale che ha sempre fluito nelle vene di ogni produzione targata Reznor. L’oscurità di cui sono intrise anche le colonne sonore di “The Social Network” e “The Girl With The Dragon Tattoo”, così come la decadenza elettronica di “Welcome Oblivion”. Questa è una versione ancora nuova, che prende dal panorama iniziale di “Pretty Hate Machine”, così come dagli episodi più moderni di “Year: Zero”. Un nuovo di punto di partenza. Pezzi come “All Time Low” richiedono pazienza per essere assimilati, e per comprendere questa visione di Nine Inch Nails ripulti, depurati, riabilitati. A detta di Reznor i tempi della depressione cronica e maledetta sono finalmente finiti e questo è un nuovo tipo di espressione della sua anima che è felice di avere. E che sentiva di dover (di)mostrare di nuovo. Per quanto parlare di pezzi deboli, quando sono targati Trent Reznor, è comunque cosa pericolosa, qualcuno potrebbe comunque additare brani come “Disappointed”, scialba nel suo incedere da programmatore di algoritmi da Silicon Valley, stanco ed annoiato, e “Everything”, a metà tra una party song e un qualcos’altro di non ben definito. Un po’ deludente se nella playlist dovesse, randomicamente, finire di fianco a “Head Like A Hole”, “We’re in This Toghether” o “The Hand That Feeds”. Momenti buoni ce ne sono eccome: “Various Methods Of Escape”, “I Would For You”, “In Two”, il trittico già presentato dal vivo e “While I’m Still Here”. Qualcuno potrebbe dire che i brani del disco non tengono testa al valore artistico dei precedenti lavori, sicuramente. Rischiano anche di far perdere quella fede incondizionata di cui gode il loro artefice. Ma se viene colta la prospettiva in cui guardare questo nuovo lato di espressione di Reznor, forse si potrà ancora apprezzare il suo talento. Non ti scoperà più come un animale, non reincarnerà più la depressione giovanile, riproponendo i fasti lirici di Joy Division o The Cure, non si batterà più per la diffusione pay-what-you-want per la musica, non fuoriuscirà dalle sue composizioni né una schitarrata industrial né un urlo perverso. Mr. Self Destruct è rievocato solo dalle magliette tarocche fuori dai palazzetti, mentre dalla posizione che occupa ora è tornato a chiamare la sua musica col nome Nine Inch Nails, a fare ottimi pezzi, che non sfigurerebbero in playlist radiofoniche d’oggigiorno, se ancora ce ne fossero di qualità. E’ tornato per se stesso, qualcuno dirà. E’ tornato per i soldi, diranno i più pragmatici. E’ tornato per i fan, diranno i più idealisti. E’ tornato. Questo è quanto. Avere un disco dei Nine Inch Nails tra le mani è ancora una soddisfazione. Giudicare un lavoro del genere immediatamente dopo la sua uscita è affare spigoloso e scivoloso. Difficile. Se dovessimo tentare questo giudizio, temerariamente ci sentiremmo di schierarci ancora una volta dalla parte del buon Trent. Ma stavolta non prostrandoci al suo cospetto, ma sorridendo amichevolmente, da vecchi amici che ne hanno passate tante insieme.

TRACKLIST

  1. The Eater of Dreams
  2. Copy of A
  3. Came Back Haunted
  4. Find My Way
  5. All Time Low
  6. Disappointed
  7. Everything
  8. Satellite
  9. Various Methods of Escape
  10. Running
  11. I Would for You
  12. In Two
  13. While I'm Still Here
  14. Black Noise
10 commenti
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