6.0
- Band: NODE
- Durata: 00:42:48
- Disponibile dal: 19/04/2024
- Etichetta:
- Nadir Music
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Dei Node si possono pensare e affermare tante cose, ma ci sono almeno un paio di dati di fatto che gli vanno riconosciuti. Il primo è quello di aver continuato a crederci, nel proprio percorso musicale, riuscendo in qualche modo a risalire la corrente e ricompattarsi ogni qual volta che la loro storia sembrava essersi fermata in una secca fatale; la seconda è quella di aver provato, pur con efficacia altalenante, a dare un aggiornamento al proprio suono da un disco all’altro, in maniera anche piuttosto radicale.
Affrontando anche stavolta un percorso di avvicinamento nient’affatto agevole, con la fuoriuscita dalla formazione per motivi di salute del precedente cantante CN Sid, e l’ingresso al suo posto di Davide ‘Dave’ Arri, la formazione capitanata da Gary D’Eramo ha cercato di riprendere slancio facendo piazza pulita di molte caratteristiche dell’ultimo periodo.
Il soffocante thrash modernista, sporcato di hardcore, dell’ultima prova in studio “Cowards Empire” viene quasi integralmente spazzato via da un ibrido di thrash, death e finezze strumentali che guardano con convinzione alla fine degli anni ’90 e al retaggio dello swedish thrash-death del periodo. Questo, unito a un lotto di idee melodiche e atmosfere debitrici di alcuni aspetti del techno-death metal dei primi anni ’90, contribuisce a una tracklist dalle caratteristiche meno unidirezionali e più frastagliata di quanto non fosse avvenuto con gli ultimi episodi in studio. Da “Cowards Empire” sono trascorsi d’altronde ben otto anni, e anche l’ampiezza dell’arco temporale trascorso spiega perché i Node di oggi siano quasi un altro gruppo, che con “Canto VII” va a riallacciare i rapporti con un tipo di trame e di andamenti in larga parte abbandonati dopo “Das Kapital”. Della successiva fase di carriera, inaugurata da “As God Kills”, rimane una forte istintività di fondo, la voglia di far deflagrare qualche momento-groovy ignorante quando il pezzo lo richiede e una certa cafonaggine nei midtempo.
Per il resto, quella che emerge è una voglia matta di dare tante coloriture al suono, di ricamare solismi melodici e portarsi su atmosfere fantascientifiche e alienanti, usando pure un’effettistica che pennelli di una patina ‘aliena’ la musica.
Sicuramente siamo di fronte all’album più elaborato e sfaccettato dei Node da molto tempo a questa parte, anche se tra gli intendimenti iniziali e il risultato finale ci sono, purtroppo, alcune smagliature che non consentono a “Canto VII” di volare alto quanto vorrebbe. Il primo aspetto che fatica a convincerci e, anche dopo numerosi ascolti, ci sembra fuori sintonia rispetto al tessuto strumentale, è la prestazione di Arri alla voce. Nonostante si dimostri anche discretamente versatile, il suo cantato principale a base di un growl strozzato e urlato non si incastra al meglio con la materia strumentale: se sulle fasi più truci e brutali il difetto è ancora accettabile, quando il suono diventa più atmosferico e ambiguo sarebbe necessaria un’interpretazione meno monocorde, mentre quella in prevalenza utilizzata non tiene il passo di quanto prodotto dagli strumenti.
L’altra impressione, che si ha fin da subito e si attenua solo di poco assimilando meglio “Canto VII”, è l’aver provato a mettere fin troppi ingredienti tutti assieme, così da ottenere delle canzoni costruite con troppe tessere di puzzle diverse, che si incastrano in modo difficoltoso le une con le altre. Gli stacchi tra le fasi più ruvide e quelle melodiche sono molto netti e danno più un’idea di disordine che di vera imprevedibilità, come se dietro ci fosse una gran ansia di fare e dimostrare il proprio valore. All’atto pratico, ci si perde in mille rivoli, senza colpire nel segno. Le esplosioni soliste, dal taglio piuttosto melodico e virtuoso, sono un altro elemento che spesso è poco in sintonia con lo stile prevalente, stridono paradossalmente con il grosso delle partiture, creando un contrasto che solo a tratti avvince.
Tutto ciò considerato, “Canto VII” non è un disco da buttare, anche se fatica a reggere la concorrenza, in un mondo come quello del metal estremo dedicato alle sonorità tecniche e contorte che ha ripreso vertiginosamente quota negli ultimi anni, e richiede idee e talento in abbondanza per restare al passo. Le tracce migliori sono a nostro avviso quelle dove si riesce ad andare con maggiore continuità su alte velocità e ritmi terremotanti, sfruttando a dovere quello che è il miglior pregio dei Node attuali, ovvero i pattern di batteria, questi sì belli ficcanti, vari e creativi, soprattutto ad alti regimi. “Sacred Theater Of Nothingness” e “The Wolves Of Yalta” spiccano in questo senso, mentre altrove i ricami melodici e i rallentamenti per dare spazio ai ritornelli diluiscono l’impatto e il pathos, come in “Life On Display” (con Trevor dei Sadist come ospite), quando il fluire armonioso della chitarra solista si fa fin troppo luminoso e stempera bruscamente l’impatto del brano. Il nostro è alla fine un giudizio un po’ severo, per un gruppo che ha cercato comunque di esprimere qualcosa di più versatile degli ultimi lavori, riuscendo però solo in parte a raggiungere lo scopo.