6.5
- Band: NODE
- Durata: 00:55:21
- Disponibile dal: 26/04/2016
- Etichetta:
- Punishment 18 Records
- Distributore: Andromeda
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La storia recente dei Node non è stata esattamente tutta rosa e fiori. Se prendiamo come punti di riferimenti temporali l’uscita del penultimo album “In The End, Everythig Is A Gag” (2010) e quella di quest’ultimo “Cowards Empire”, sfornato a fine aprile di quest’anno, avremo davanti un periodo di tempo lungo e travagliato, segnato dapprima dal brusco abbandono di uno dei precedenti batteristi Francesco Maria Rivabene e le polemiche avute anche con il precedente singer Giuseppe “Rex” Caruso, con tanto di antipatici scambi di comunicati tra la band e gli ex componenti; passata la burrasca, è venuto il momento di raccogliere i cocci, ricompattare le fila e, una volta assoldato un nuovo valente soldato dietro il microfono, CN Sid, riplasmare un sound che fosse Node al 100%. Lavorando abbastanza a fari spenti, rodando la nuova formazione con alcune selezionate date live, il quintetto capitanato dall’inossidabile Gary D’Eramo si ripresenta ora con un album durissimo, coeso, specchio di un’attitudine rovinosamente claustrofobica che affonda le radici nel modern thrash novantiano, nel thrash/death svedese e negli stillicidi hardcore assorbiti come una spugna da tutta la scena del thrash evoluto. Aggiungiamoci pure un pizzico della cafonaggine di Raging Speedhorn e Stampin’ Ground, emergente nei frangenti in cui l’attitudine rissaiola la fa da padrone. Animosità e voglia di rivalsa si percepiscono chiaramente in “Cowards Empire”, una rabbia spessa e primitiva si accompagna a quella lucida e determinata di chi da tanto, troppo tempo, voleva essere liberato dalle catene cui era costretto. Non si può dire che l’operazione-rientro sulle scene sia fallita: forte anche di un nuovo singer duttile e brutale, probabilmente quello in possesso del timbro più animalesco e selvaggio tra quelli passati in line-up nei Node, il gruppo ha rimescolato un po’ tutti gli stilemi che ne avevano caratterizzato la discografia passata, riscoprendo alcune strutture swedish abbandonate a partire da “As God Kills” e comprimendo le chitarre in un soffocante palinsesto simile a quello offerto nell’ultimo full-length avente Daniel Botti in line-up. L’accento sul groove e la spinta ritmica costante mirano a sbriciolare l’ascoltatore, seppellirlo sotto una valanga di chitarroni che dominano nel mix e tolgono respiro alle dinamiche, a favore di un martellamento incessante, induttore di un ansiogeno senso di depravazione e alienazione. Meccanici stridori chitarristici si inseriscono nelle pesantissime ritmiche, fungendo da elemento di diversificazione in canzoni altrimenti monotematiche, bastarde e livorose all’ennesima potenza, ma talmente prese dalla furia cieca da non offrire sufficienti mutamenti di registro e cambi di scenario vincenti. Intendiamoci, la cura per gli arrangiamenti è buona, piacciono molto i cori puliti affioranti in “StagNation” e “Lambs”, segno che in fase di scrittura si è lavorato con cognizione cercando di tenere in equilibrio la sete di violenza e la musicalità. Lo sbilanciamento sul primo punto ci pare però evidente: la botta di suono è sempre garantita, meno la fluidità d’azione. Pezzi come “Average Moter” e “No Reason” avanzano scorbutici, intransigenti, però non offrono peculiarità di grido: assestano sì grandi scossoni, ma non vi rintracciamo al loro interno né il dinamismo né l’inventiva che le eleverebbe da un buon lavoro di mestiere a dei grandi brani. L’impressione è anche quella che in alcune circostanze la si tiri per le lunghe senza che ce ne sia l’esigenza, con il risultato che l’intero album assomigli a una lunga tirata dalle pochissime concessioni alla melodia, ai mutamenti d’atmosfera e a progressioni che lo avrebbero reso molto più digeribile. Guarda caso, le tracce più lavorate e pennellate di qualche elemento di unicità, si ascolti “Locked In” coi suoi arpeggi darkeggianti e il prolungato assolo, oppure il groove zozzone di “Still The Same”, emergono in positivo sul resto della tracklist. Il giudizio complessivo rimane positivo, “Cowards Empire” è un valido come-back; se prossimamente i Node riusciranno a reimmettere nel proprio sound certe finezze dovutamente elargite in “Sweatshops”, “Das Kapital”, lo stesso “As God Kills”, saranno ancora più competitivi di quanto non lo siano attualmente.