6.0
- Band: NOFX
- Durata: 00:36:19
- Disponibile dal: 26/02/2021
- Etichetta:
- Fat Wreck
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Quasi in contemporanea ai redivivi Offspring, dopo più di un decennio di silenzio discografico, tornano anche Fat Mike e soci, a cinque anni di distanza dal penultimo “First Ditch Effort”. Anche nel loro caso la lunga attesa avrebbe lasciato presagire un ritorno più corposo – nelle intenzioni originali avrebbe dovuto essere un doppio album, da qui il titolo avendo alla fine optato per disco singolo, invece quello che ci troviamo tra le orecchie è poco più di mezz’ora, tra cui cinque pezzi già rilasciati in diversi formati (anche se verosimilmente inediti ai più) e una auto-cover. Partendo proprio da quest’ultima, riteniamo “Linewleum” il vero colpo di genio dell’album, grazie ad un riuscito mix tra un testo auto-parodistico e la gentile partecipazione degli Avenged Sevenfold, il cui tapping sfrenato alza il tasso tecnico dell’originale. Al netto di questo episodio, il resto dei brani mostra tuttavia il lato più introspettivo di Fat Mike, e la musica si muove di conseguenza. Se “I Love You More Than I Hate Me” è il classico punk rock con un sapore più agrodolce del solito, la lettera aperta di “Your Last Resort” (dedicata alla seconda moglie Soma, da cui ha appena divorziato) è ancor più toccante nel passaggio da ballad per piano e voce ad una cavalcata catartica. Discorso simile per “Birmingham” (classico brano con basso e batteria in primo piano, in cui Mr. Fat Wreck racconta di quando ha toccato il fondo, letteralmente, con la droga), mentre l’inedito blues rock di “Doors And Fours” ripercorre le prime overdosi di amici e colleghi nella L.A. degli anni ’80. Se a livello testuale è evidente la maturazione (in qualche modo figlia della recente autobiografia) non tutto però è pesche e creme: lo ska-reggae di “Fish in a Gun Barrell” (nonostante nel libretto sia datata 2017) suona come un tardivo tentativo di giustificarsi dopo le infelici uscite live sulla sparatoria di Las Vegas costata la vita a sessanta persone, mentre i sei minuti post-hc dell’opener “The Big Drag” propongono un climax che promette tanto (ricordando quasi un “The Decline” redux) e poi mantiene solo in parte, per dirla alla Ambra Angiolini. I restanti pezzi infine (“Fuck Euphemism”, “My Bro Cancervive Cancer”, “Grieve Soto”) viaggiano col pilota automatico, seguendo uno stile da loro stessi progressivamente codificato negli ultimi trent’anni e cristallizzato da almeno quindici. In attesa di rivederli dal vivo con il carrozzone del “Punk In Drublic” – dove con ogni probabilità torneranno ad indossare i vecchi panni da clown più che quelli riflessivi di questa ‘nuova’ fase più introspettiva – possiamo dire che la quattordicesima fatica in studio di Fat ‘paraculo’ Mike e soci alterna nuovi spunti ed una sana dose di mestiere: abbiamo sentito di meglio anche nel passato recente (il self-titled), ma l’uomo col kilt più famoso del punk casca sempre in piedi.