7.5
- Band: NOVEMBERS DOOM
- Durata: 00:56:44
- Disponibile dal: 14/04/2017
- Etichetta:
- The End Records
- Distributore: Audioglobe
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Quasi trent’anni di carriera e ben dieci album in studio: questi sono i numeri che possono vantare i Novembers Doom, formazione doom/death statunitense che ha saputo costruirsi una solida carriera, che forse non li avrà mai visti stagliarsi tra i vertici della scena, ma che difficilmente ha lasciato l’amaro in bocca a coloro che si sono accostati alle trame create dalla band di Paul Kuhr. Pur mantenendo un’invidiabile coerenza artistica, lo stile dei Novembers Doom si è evoluto nel corso degli anni, partendo da un doom/death spoglio e romantico, chiaramente ispirato ai My Dying Bride, e andando poi ad inspessire il proprio sound, rendendolo più corposo e battagliero, fino alla svolta, graduale ma sostanziale, di “The Novella Reservoir” del 2007, in cui la componente death metal prese il sopravvento, rispetto a quella malinconica e decadente. Quest’ultima, comunque, ben lontana dall’essere scomparsa è rimasta viva, album dopo album, come una brace incandescente sotto la cenere ed è tornata a bruciare con forza nel nuovo “Hamartia”, che segna una nuova evoluzione per i Novembers Doom. Pur proseguendo in un percorso stilistico coerente, infatti, in “Hamartia” troviamo una maggiore preponderanza delle parti decadenti e sofferte, con la voce pulita di Kuhr a dominare sulle parti in growl. Il risultato finale è assolutamente positivo: l’album risulta sofferto, sentito ed emozionale senza essere debole e senza scadere mai nello sdolcinato. L’inizio dell’album sembra ancora allineato alla produzione precedente, con la possente “Devil’s Light” a travolgere l’ascoltatore con il riffing efficace della coppia Larry Roberts e Vito Marchese, ma già con la successiva “Plague Bird” si delineano meglio le coordinate scelte dai Nostri. L’approccio resta comunque energico, ma la voce di Paul Kuhr inizia a blandire l’ascoltatore con delicatezza, creando quel contrasto espresso anche dalla copertina, con quello scheletro punteggiato da fiori. La qualità generale delle composizioni si assesta su livelli degni di nota, con alcuni picchi di qualità nella trascinante “Ghost”, uno degli episodi più riusciti per intensità e sintesi melodica; la possente “Zephyr”, che ci ricorda come i Novembers Doom siano più che dei semplici cantori del dolore; oppure “Waves In The Red Cloth”, il brano più marcatamente ispirato dalla Sposa Morente, che vede, non a caso, la partecipazione di Andrew Craighan. Eccellente anche la produzione, affidata a Chris Djuricic, con il missaggio affidato ad una vecchia conoscenza della band, Dan Swanö. Certo, i Novembers Doom forse non raggiungeranno ancora l’intensità espressa da alcune formazioni leggendarie che hanno scritto le pagine migliori del genere, ma se amate My Dying Bride, Katatonia, Opeth e Novembre, scoprirete senza dubbio un piccolo gioiello in questo nuovo capitolo firmato dalla band di Chicago.