6.5
- Band: OBITUARY
- Durata: 00:41:00
- Disponibile dal: 15/06/2009
- Etichetta:
- Candlelight
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
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Che gli Obituary non siano più i re incontrastati del groovy death metal floridiano ormai lo sanno anche i sassi. “Frozen In Time” ed “Xecutioner’s Return” – altalenante il primo, indecente il secondo – hanno rappresentato qualcosa in più di semplici incidenti di percorso, presentandoci una band prima un pochino impacciata, poi del tutto priva di idee e ispirazione. Il nuovo “Darkest Day” fa però intravedere un po’ di luce in fondo al tunnel. Archiviato il capitolo “Xecutioner’s Return”, gli Obituary sembrano infatti aver riordinato le idee, ritrovato sprazzi del loro vecchio smalto e, soprattutto, pare si siano resi conto che costruire brani su un singolo riff non paga. Fondamentalmente, non ci troviamo di certo al cospetto di un gruppo profondamente rinnovato: gli ingredienti alla base del sound sono quelli di sempre, ovvero le ritmiche autorevoli, il riffing grasso e le inconfondibili urla di John Tardy. Ciò che fa (almeno in parte) la differenza rispetto al recente passato, è soltanto la qualità di alcune composizioni. Tutto sommato, questa volta c’è più brio nel lavoro di chitarra di Trevor Peres, i riff sono maggiormente disinvolti e le strutture hanno dalla loro più vitalità. Proprio niente male le prime sei tracce, un po’ più scolastiche e spente le successive, tuttavia, anche quando i nostri inseriscono il pilota automatico, non vengono mai toccati livelli propriamente orridi. Più che altro, ciò che davvero stona all’interno del disco è l’operato di Ralph Santolla. Lungi da noi criticare la sua indubbia preparazione tecnica, ma a tratti il chitarrista risulta a dir poco invadente nel suo voler inserire assoli in ogni dove (vedi l’opener “List Of Dead”). In fin dei conti, questi sono gli Obituary, fieri portabandiera di tutto ciò che è groovy e pesante… non comprendiamo del tutto questa improvvisa rincorsa all’eleganza. Un po’ come la copertina “alla Rhapsody” di Andreas Marschall, tutti questi assoli paiono essere stati infilati tra un riff e l’altro solo per dare alla proposta una parvenza di raffinatezza. Ma perchè mai? Siamo dell’idea che queste soluzioni non siano le più consone a un gruppo come gli Obituary: in parecchi episodi una maggiore compattezza avrebbe fatto guadagnare alle trame un’ulteriore marcia in più. Detto questo, è comunque il caso di ribadire che il quintetto sia riuscito a fare nuovamente le cose più o meno per bene: non siamo di fronte all’album che riporterà gli Obituary ai vertici della loro scena, ma “Darkest Day” è un capitolo discografico dignitoso, sicuramente più affine a “Frozen In Time” e ai lavori precedenti che a quanto offerto due anni fa.