6.5
- Band: OBITUARY
- Durata: 00:49:04
- Disponibile dal: 24/10/2014
- Etichetta:
- Relapse Records
- Distributore: Audioglobe
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Gli Obituary ce l’hanno messa tutta per renderci antipatico in partenza questo “Inked In Blood”. Che dire, ad esempio, della campagna di crowdfunding avviata tempo fa? il disco non doveva venire registrato, promosso e pubblicato in autonomia? Perchè firmare con Relapse dopo aver insistito per mesi su questo aspetto e avere raccolto oltre 60.000 dollari dalle tasche dei fan? Dove sono finiti o finiranno questi soldi? Inoltre, anche ammesso che siano effettivamente serviti per registrare il disco e per stampare del merchandise per i fan che hanno aderito, è mai possibile che “Inked In Blood” si presenti con una produzione che è notevolmente inferiore a quella della stra-grande maggioranza di album death metal usciti quest’anno? Gli Obituary ascoltano ciò che viene pubblicato di questi tempi? Hanno idea che esistono dozzine di band che, con un decimo del loro budget, riescono a confezionare lavori che suonano decisamente meglio di questa loro ultima fatica? Evidentemente no. Con le dovute proporzioni, i floridiani sembrano la versione death metal dei Metallica, ovvero un gruppo che ormai ha quasi completamente perso contatto con la realtà, che non segue più da tempo la scena di cui si crede parte e che visibilmente non ha più l’orecchio per valutare adeguatamente vari aspetti della propria musica. Nel 2014 una formazione a tutti gli effetti leggendaria, con un budget tutto sommato sostanzioso, può presentarsi con una batteria che suona come un insieme di fustini del detersivo? O con un mixaggio che fa apparire tutti gli strumenti e la voce slegati fra loro? Da un punto di vista strettamente formale, “Inked In Blood” fa cadere le braccia. Detto questo, è però altrettanto opportuno sottolineare come l’album, sotto il profilo musicale, non sia totalmente da buttare. Alcune anticipazioni, come il singolo “Violence” (due minuti di una pochezza disarmante, letteralmente un singolo riff che va avanti per inerzia), ci avevano fatto temere il peggio, ma, in verità, la tracklist presenta un buon numero di brani dignitosi, che mitigano un po’ l’amarezza generata dalle suddette scelte di produzione. Per fortuna oggi non c’è Ralph Santolla a piantare assoli inutili in ogni dove: il suo sostituto Kenny Andrews sta maggiormente al proprio posto e lavora di sostanza, spalleggiando Trevor Peres in sede ritmica e concedendosi solo poche sortite in chiave solista. I brani appaiono quindi abbastanza compatti: ogni tanto si dilungano un po’ troppo, riproponendo sempre le solite soluzioni ad oltranza, ma ciò per fortuna non avviene spesso. Lo stile, comunque, è 100% Obituary: “Centuries of Lies” è un’opener secca ed efficace, che può ricordare una “Threatening Skies”, e “Violent by Nature”, “Back On Top” o “Minds of the World”, con il giusto mix di groove e vivacità, riescono a non scadere nell’autocitazionismo più insulso. Alla fine dei conti, la tracklist concede solo un paio di veri e propri tonfi, configurandosi tutto sommato come il lotto di brani più riuscito tra quelli offerti dalla reunion. L’insieme avrebbe potuto risultare anche più incisivo se solo alla regia ci fosse stato un produttore di esperienza, ma, come già sottolineato, il gruppo chiaramente vive in un mondo tutto suo. È insomma il caso di accontentarsi: d’altronde, se si è da tempo fan degli Obituary, si sa che la perfezione qui non è più di casa da un pezzo.