7.5
- Band: OBITUARY
- Durata: 00:36:28
- Disponibile dal: 17/03/2017
- Etichetta:
- Relapse Records
- Distributore: Audioglobe
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Una delle uscite discografiche più attese in ambito death metal in questo 2017 è proprio l’omonimo disco degli Obituary, chiamati alla riscossa dopo il controverso “Inked In Blood”, un album che aveva da un lato scontentato una parte della critica e invece accontentato, o entusiasmato addirittura, un’altra fetta di pubblico. Uno degli aspetti che tuttavia aveva deluso un po’ tutti quelli che avevano ascoltato la precedente release in studio dei Tardy e soci, era certamente stata una produzione non propriamente all’altezza (diremo, per non essere troppo ingenerosi). Ecco, “Obituary” in questo senso è un netto passo avanti, forte di un sound ricco e corposo, netto e decisamente allineato a quelli che sono gli standard minimi di una band di questo calibro. Fatta questa premessa, entriamo nel vivo del disco e diciamo, forse un po’ spavaldamente, ma con altrettanta lucidità, che questo decimo platter dei Nostri è il capitolo migliore della loro seconda parte di carriera; e, se non il migliore, tranquillamente quello riuscito meglio da “Frozen In Time” in poi. Toglieremmo giusto le prime due tracce d’apertura: queste cavalcate direttissime che francamente ci sembrano più che altro i classici singoli, composti un po’ a tavolino, più per scatenare il pogo ad un inizio live che altro; brani che su disco, dopo alcuni ascolti, hanno davvero poco da dire. A parte questo, il resto del lavoro è di una fattura pregevole. E’ chiaro che dagli Obituary non ci si può (e non ci si deve?) aspettare nessun stravolgimento sonoro e nessunissima novità. Quello che invece è lecito attendersi – e che troverete, se deciderete di dare una possibilità a questo platter – è un lotto di brani in cui gli Obituary finalmente rendono al meglio: ritroverete gli omaggi ai Celtic Frost (“A Lesson in Vengeance “), quel sound roccioso groovy, avvolgente e polveroso (“Kneel Before Me”), quell’incedere vomitevole e ululante di un John Tardy in formissima (sentite “It Lives”, giusto per farvi un’idea) e, su tutto, un riffing per lo più diretto e incisivo, muscolare e con più di qualche slancio davvero ben congegnato (la parte finale di “Turned Into Stone”). Materiale capace di far squassare il capoccione anche al più immobile degli ascoltatori con quelle bordate di groove. Ora, intendiamoci, i tempi di “Cause Of Death” o “The End Complete” sono lontani, molto lontani; tuttavia visto l’andazzo delle ultime release, questo omonimo album ci ha sorpreso positivamente, riportando alla luce un gruppo che sembrava essere ormai entrato in un buio declino. Bello invece constatare come gli Obituary abbiamo ancora qualche cartuccia da sparare. Avanti così.