7.0
- Band: OFERMOD
- Durata: 00:44:39
- Disponibile dal: 22/06/2020
- Etichetta:
- Shadow Records
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Con gli Ofermod torniamo a scandagliare il lato più pericoloso e satanico della scena black metal svedese degli anni Duemila. Un crogiolo di violenza, sangue e depravazione da cui si sono levati gruppi ormai celebratissimi come Watain e Funeral Mist, di cui la formazione di Stoccolma può considerarsi antesignana grazie al leggendario EP d’esordio “Mystérion Tés Anomias” del ’98. Quello che in molti ignorano è che tra la suddetta release e il debut album “Tiamtü” (2008) la creatura del chitarrista Mika Hakola – personaggio non esattamente lineare, con varie incarcerazioni per aggressione e rapina alle spalle – si era già macchiata di un full-length presso i Necromorbus Studio, mai pubblicato e tenuto chiuso in un cassetto insieme alle storie di abusi, caos e malessere di quel periodo. Almeno fino a qualche mese fa, quando il Nostro, in combutta con la Shadow Records, ha deciso di rispolverare quei brani, riaffidarli alle mani esperte di Tore Stjerna per una nuova operazione di mixing e mastering e rilasciarli ufficialmente sotto il titolo di “Pentagrammaton”, chiudendo una vicissitudine artistica più nera delle tenebre stesse.
Tre quarti d’ora di musica in cui la visione degli Ofermod, all’epoca guidati dallo screaming deviato di Moloch (Teitanblood), risplende nella sua forma più grezza e disadorna; un concentrato di black-death immerso in un’atmosfera mortifera pressoché tangibile e che in più punti sembra essere il frutto di una jam session fra i primi vagiti della band di Erik Danielsson e i Mayhem di “De Mysteriis Dom Sathanas”. A colpire, oltre al fanatismo che pervade ogni anfratto della tracklist, è sicuramente l’andamento dei singoli episodi, i quali si sviluppano secondo un gusto per il songwriting che prevede ampie porzioni di midtempo inframezzate soltanto occasionalmente da scariche di blast-beat. Il rituale degli svedesi si compie quindi in maniera frastagliata e – per certi versi – compassata, discostandosi dalle cavalcate di pura blasfemia di opere come “Casus Luciferi” e “Salvation”, tuttavia, complice la buona ispirazione del riffing, non si può certo dire che il livello di tensione durante l’ascolto scemi o risulti poco appagante.
Insomma, per quanto non possa essere considerato l’album migliore scritto da Hakola (primato che a nostro avviso spetta a “Thaumiel”), “Pentagrammaton” ha l’indubbio pregio di mostrarci il lato più primordiale di questa entità underground, figlio non di ‘pose’ o di forzature scioccanti, bensì di un disagio così concreto da mettere i brividi. Da ascoltare rigorosamente al buio.