7.5
- Band: OLD FOREST
- Durata: 00:43:14
- Disponibile dal: 06/12/2024
- Etichetta:
- Soulseller Records
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Dopo la lunga pausa intercorsa tra il debutto “Into the Old Forest”, rilasciato al tramonto del secolo scorso, e il suo successore – uscito ben dodici anni dopo – la band inglese ha trovato una certa regolarità discografica, al punto che questo nuovo “Graveside” arriva sugli scaffali a meno di un anno dalla prova precedente, rappresentata dal buon “Sutwyke”.
I nuovi brani non introducono novità di sorta, muovendosi lungo le coordinate che avevano animato il lavoro precedente, eppure ci paiono complessivamente migliori: black metal melodico, influenzato dal pagan/viking di matrice scandinava (anche se meno che in passato, come già sottolineato in precedenza), con un approccio alla scrittura libero da dettami e contaminazioni moderne.
Kobold e Beleth, anime fondatrici di questo progetto, si rivelano persistenti nel portare avanti la loro idea di black metal, legata al folklore inglese e a sinistre leggende: niente trigger di batteria e satanismo esasperato, il duo preferisce muoversi tra le brughiere al crepuscolo, dipingendo scorci oscuri ma romantici, nel solco di una tradizione horror tra le più solide, quale è quella britannica.
È un punto di vista dichiaratamente anti-commerciale quello della band del Sussex, che non cerca la perfezione della forma, e i suoni affettati e pomposi dell’estremo mainstream, rifacendosi piuttosto alla genuinità degli albori della seconda ondata scandinava di inizio anni ‘90.
Il disco si rivela quindi piacevole e, a suo modo, personale: l’opener “Curse Of Wampyr” rappresenta bene il sentore notturno che permea tutto l’album, in particolare grazie ad un uso saggio delle tastiere, mai troppo invasive o stucchevoli, ma benché scelto come singolo, non è il pezzo migliore di questo lavoro.
Ancora più interessanti infatti sono due pezzi che incorporano sentori horror metal vicini a Death SS, Denial Of God, Abysmal Grief e Mortuary Drape, quali la lunga “Witch Spawn” e la seguente “Solstice Sacrifice”, maggiormente cadenzata ed atmosferica, nella quale convivono elementi pagan (più che altro negli inserimenti di cantato pulito di Kobold).
Il resto dell’album procede in modo simile, senza grosse sorprese ma mantenendo costante il livello qualitativo, che è di tutto rispetto: solo “Soil Of The Martyrs” mostra più estesamente le influenze pagan ai limiti con l’avantgarde che hanno caratterizzato il periodo nel quale Anders Kobro (ex compagno di Kobold negli …In The Woods) ha militato nella band, con inserimenti di chitarra acustica e una breve deriva psichedelica. Forse leggermente straniante, ma tutto sommato convincente, anche se un brano come “Forgotten Graves” – che chiude il disco – appare più a fuoco rispetto al concept e la struttura generale.
Ad ogni modo questo è un buonissimo tassello di una discografia lunga ma – almeno in passato – non eccelsa: nonostante storicamente condannati ad un ruolo di eterne ‘seconde lame’, gli inglesi sfoderano dal cilindro (o meglio, dal sudario) una prova ispirata, compatta e perfetta per accompagnare le fredde e malinconiche giornate di questo periodo, rivelando qua e là anche sprazzi dei migliori Cradle Of Filth.
E anche nel caso si trattasse di brani (sorprendentemente) scartati in precedenza – le registrazioni infatti risalgono al periodo 2022-2023 – le cose non cambiano: “Graveside” è un dischetto godibilissimo, che vi consigliamo se nel black metal prediligete le atmosfere sinistre rispetto alla furia cieca.