OM – Advaitic Songs

Pubblicato il 13/08/2012 da
voto
6.5
  • Band: OM
  • Durata: 00:43:49
  • Disponibile dal: 27/07/2012
  • Etichetta:
  • Drag City

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Dopo aver speso tante energie a riesumare con successo tanto sbalorditivo quanto inaspettato gli Sleep, Al Cisneros si è rituffato a capofitto in quella che è stata la sua band principale per gli ultimi dieci e passa anni, e che ha contribuito, quasi quanto gli Sleep stessi, a confermare il bassista di Oakland come uno dei musicisti più talentuosi ed eccentrici dell’intero panorama doom e “post”. Gli Om, dalla fondazione al presente, hanno dato tantissimo al doom metal, lo hanno sradicato dall’esoterismo e dal concetto di oppressione musicale intransigente di cui il doom metal tipicamente vive, e lo hanno inserito in un contesto tutto nuovo. In un nuovo mondo fatto tanto di trame e umori esotici, quasi rousseauniani e innegabilmente di ispirazione hymalaiano-tibetano dal forte sapore orientale e meditativo, che di scenari epici, quasi morriconiani e cinematografici. Gli Om, in sintesi, sono una band unica, che è stata abilissima nello sviluppare un suono ed una estetica che è tutta loro e completamente sui generis. L’aggiunta del Grails Emil Amos non ha fatto altro che sradicare ulteriormente la band dalle sabbie mobili del doom metal tradizionale, per proiettarla ancor più in profondità negli abissi del post-rock più astratto e rarefatto. Ma va anche tenuto conto del fatto che i Nostri negli ultimi anni hanno optato per una strada che fa del minimalismo il suo punto focale e della ripetitività la sua essenza primaria, e questo, se si considera che parliamo del loro quinto full-length, staglia parecchie ombre e “preoccupazioni” sul cammino della band, soprattuto in luce dell’ultimo lavoro della band, “God Is Good” del 2009, sorta di esercizio di stile tutto basato sull’ipnosi sonica e immaginari musciali più meditativi che altro. Quel disco, in poche parole, gli Om se lo sono composto e se lo sono suonato, tenendo poco conto della varietà di orecchie e umori di cui è composto il mondo, e dunque fallendo la prova con il pubblico. “Advaitic Songs” cambia la traiettoria musicale dei Nostri ancora una volta, e ci li mostra intenti a sperimentare con più strumenti e tipologie di atmosfere rispetto al passato. Ormai gli strumenti di natura orientale sembrano elementi irrinunciabili, ed è così che il sitar, i vari flauti, i tabla e così via sono presenti praticamente ovunque. Il basso allucinato (e allucinante sotto l’aspetto tecnico e stilistico) di Cisneros si prende dunque una pausetta di riflessione in questo lavoro e fa respirare maggiormente gli altri impulsi del duo, lasciando appunto spesso e volentieri il campo agli strumenti sopracitati. Stesso discorso si può tranquillamente fare per il drumming fantasmagorico di Amos, qua decisamente più in assetto Grails che Om, intento com’è a smisticare di più con pattern esotici e sonorità che poco centrano con la tigna ruspante del doom metal. Il disco contiene però quella che è forse la canzone più fotturamente esaltante mai scritta dal duo, “State Of Non-Return”, sorta di super-jam torrenziale dal groove irresistibile che ci mostra un Cisneros al basso ormai praticamente inarrivabile per chiunque (solo un Trevor Dunn a questo punto forse lo rivaleggia nel campo) e in assoluto stato di grazia. Pezzo davvero mostruoso che da solo ha trascinato il disco alla sufficienza in questa impietosa riflessione. Le rimanenti quattro tracce, in realtà, sono tre, visto che la intro “Addis” appunto rimane una intro, anche se è un intro di oltre cinque minuti (ma questi sono gli Om, e anche questo è previsto nel loro imbambolante immaginario musicale). Anzi, due tracce, visto che le conlusive “Sinai” e “Haqq al-Yaqin” sono praticamente una canzone sola spezzata in due, o due tracce identiche, che dir si voglia. Entrambe esaltano poco e il loro tentativo di creare una sorta di trance delirante tramite il minimalismo e la ripetitività, tutto dominato dagli archi e dai flauti, tira il freno a mano al disco per quasi metà dello stesso e rompe la diga degli sbadigli senza grossi problemi. “Gethsemane” propone delle atmosfere più incupite e delle ritmiche più dinamiche e imprevedibili, ma anche qua il minimalismo dilagnate che la band cerca di imbastire a tutti i costi crea un senso di sonnolenza impossibile da combattere. Overdrive quasi sempre spenti e dejavu pressochè costanti, con questi due concetti si può riassumere questo nuovo parto degli Om. Per quanto ci riguarda, è un po’ poco.

TRACKLIST

  1. Addis
  2. State of Non-Return
  3. Gethsemane
  4. Sinai
  5. Haqq al-Yaqin
7 commenti
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