7.0
- Band: OMINOUS RUIN
- Durata: 00:45:21
- Disponibile dal: 26/02/2021
- Etichetta:
- Willowtip Records
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Californiani come i vari Decrepit Birth, Odious Mortem e Severed Savior, gli Ominous Ruin esordiscono su Willowtip con un disco che sembra a tutti gli effetti provenire da una bolla temporale e geografica precisissima, restituendo le medesime sensazioni che i succitati gruppi statunitensi, ormai più di quindici anni fa, esibivano all’interno di opere molto apprezzate nell’underground come “…and Times Begins”, “Servile Insurrection” o “Cryptic Implosion”. Un death metal dal quoziente tecnico elevatissimo debitore sia della scena ‘brutal’ dei maestri Deeds of Flesh (anch’essi di quelle zone, non a caso) che delle evoluzioni armoniose firmate Necrophagist, in grado puntualmente di far cadere la mascella per il suo mix di assalti serrati, digressioni opprimenti e raffinatezze assortite. Musica che ascoltata oggi, in un’epoca di riscoperta delle tradizioni (talvolta macchiettistica), non può certo essere definita ‘trendy’ o sul pezzo, ma che se interpretata con il giusto spirito e la giusta autorevolezza è lungi dall’annoiare o dal non destare interesse. È questo il caso di “Amidst Voices that Echo in Stone”, opera curata e professionale fin dall’artwork di Pär Olofsson (Aborted, Hour of Penance, Immolation) e frutto di una certa dimestichezza in sede di composizione e arrangiamento da parte dei ragazzi di San Francisco, i quali hanno saputo mettere a frutto l’esperienza acquisita in un decennio di gavetta nei solchi di tracklist a dir poco compatta e stordente. I diktat del filone, dal guitar work vorticoso all’esuberanza della sessione ritmica, passando per le growling vocals severissime e gli sprazzi di melodia, ci sono tutti, immersi in un’atmosfera malevola che talvolta (ed è sostanzialmente l’unico strappo alla regola del disco) arriva a richiamare ambienti black metal. Pur non rinunciando a qualche eccesso, i Nostri riescono comunque a dosare frenesia e linearità e ad architettare brani che non suonano come una mera sequenza di riff sparati alla velocità della luce, inserendo puntualmente break, parentesi ‘dritte’ e rallentamenti che giovano non poco alla fruizione del tutto, e si può dire che questa accortezza faccia compiere all’album il salto auspicabile da un’uscita riportante il marchio Willowtip. Buona la prima.