6.5
- Band: OMNIUM GATHERUM
- Durata: 00:56:12
- Disponibile dal: 26/02/2016
- Etichetta:
- Lifeforce Records
- Distributore: Audioglobe
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Tutto potremmo dire di “Grey Heavens”, fatica numero sette dei finnici Omnium Gatherum, tranne che non sia stato composto, realizzato e suonato in maniera impeccabile; quando il background è composto da trent’anni di attività conditi da una serie di album che hanno riscontrato favori sia nella critica che in una fan base sempre più presente, del resto, è impossibile non aspettarsi qualcosa di adeguato agli standard cui la band ha saputo abituare. E lo diciamo chiaramente, per sicurezza: i parametri anche con questo nuovo lavoro sono stati certamente rispettati. Quello che manca, in realtà, è forse qualcosa che ha più a vedere con i compromessi prettamente artistici dei musicisti che non con la mera messa in atto dell’opera: l’impressione è che ci sia del non detto, delle cose che chi ha suonato i brani si sia tenuto per sé, volutamente o meno. Cosa c’è che non va? Diremmo nulla, di primo acchito. Le canzoni suonano bene e rientrano in un ambito qualitativo medio alto, eppure la vita propria delle medesime stenta a librarsi e ad assumere una forma che sopravviva a se stessa; quello che l’ascolto trasmette, alla fine, è una specie di confuso smarrimento, come se fosse quasi colpa nostra che ad ogni giro sul piatto eravamo indaffarati in qualcos’altro, come se non avessimo prestato l’adeguata attenzione alle composizioni proposte, ritrovandoci in un baleno ad assaporare le note finali. Il sestetto manco a dirlo non pecca sul piano tecnico, ed opera con savoir faire all’interno delle coordinate melodic death e progressive che già in passato di hanno mostrato una certa attinenza coi discorsi intrapresi da gente come Amorphis e Dream Theater. Si intravede un forte eco introspettivo che aleggia su tutto, ed un senso di malinconia pervade l’album nei suoi passaggi strumentali, sofferenti e toccanti (“Skyline” o “Ophidian Sunrise” sono un riuscito esempio, così come “Majesty and Silence”) e sebbene non manchino aperture più marcate ed aggressive e forse più care alla band (“The Pit” o la power oriented “Rejuvenate!”), il disco nel suo complesso non riesce a staccare i piedi da terra come le sue velleità vorrebbero, e sulla lunga non viene a mancare un senso di noia che pure non diviene globale. Un’opera riuscita forse a metà pertanto, che lascia certamente l’amaro in bocca per le potenzialità espresse e a volte centrate (vedasi la strumentale “These Grey Heavens”) e che pur ben impacchettata non trasporta come vorrebbe l’ascoltatore all’interno delle proprie seppur ineccepibili trame. Come altri prima di loro, gli Omnium Gatherum ci ricordano come una composizione ed una proposizione eccellente non siano per forza sinonimo di un prodotto finale completo e riuscito, ma magari semplicemente di una tracklist certamente non brutta, ma nulla più che discreta, sebbene presentata egregiamente: questo è decisamente uno di quei casi.