7.0
- Band: OMNIUM GATHERUM
- Durata: 00:40:26
- Disponibile dal: 07/11/2025
- Etichetta:
- Century Media Records
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Come si fa a non voler bene agli Omnium Gatherum? I finlandesi non saranno la band più originale nella folta scena melodic death metal proveniente dalla terra dei mille laghi, ma nella loro ormai quasi trentennale carriera sono rimasti tutto sommato coerenti al loro trademark stilistico, nonostante l’avvicendarsi di diversi membri (con il solo mastermind Markus Vanhala, già all’opera con Insomnium e Cemetery Skyline, superstite della formazione primigenia), al netto di una componente progressiva più accentuata negli anni.
Con questo “May the Bridges We Burn Light the Way”, album che segna il raggiungimento della doppia cifra discografica, il sestetto di Karhula prosegue sulla scia dell’ultimo EP “Slasher”, ovvero il consueto melodic death metal finnico in cui melodia, malinconia (da sempre tra i tratti distintivi della band) ed aggressività si mescolano in parti uguali, se pur con dosaggi diversi a seconda dei pezzi.
Canzoni come “My Pain” o “Last Hero”, ad esempio, puntano su un approccio più diretto, con tastiere bodomiane in primo piano, ritornelli in pulito in stile Soilwork (non a caso le linee vocali sono state co-prodotte da Speed Strid) ed hook chitarristici vicini agli ultimi Arch Enemy, portabandiera di un quel metal per le masse di cui gli Omnium Gatherum restano ancora lontani a livello numerico ma a cui sembrano ora più che mai voler ambire.
Laddove “Walking Ghost Phase” o “Ignite the Flame” giocano nel campo dei Warmen per consolare le vedove dei Children Of Bodom, tra riffing serrato e cori ‘in your face’, viceversa brani più articolati ed oscuri come “The Darkest City” o “Barricades” sembrano voler riprendere quel filone più progressivo ed atmosferico portato alla ribalta con “The Burning Cold”, anche se l’episodio più vicino in questo senso resta probabilmente la strumentale “Road Closed Ahead”, posta in chiusura; una canzone fatta e finita, ma priva di cantato (come era già successo loro in passato), alla stregua della più breve title-track posta in apertura.
Tra tradizione e modernità – evidente anche nella scelta dell’artwork, molto più minimalista rispetto al solito – gli Omnium Gatherum proseguono il loro percorso con un pizzico di ambizione in più, perdendo un filo del proprio tratto distintivo – pur senza stravolgere un songwriting ormai rodato – per puntare verosimilmente ad un pubblico più ampio.
