9.0
- Band: ONSLAUGHT
- Durata: 00:44:48
- Disponibile dal: 01/05/1986
- Etichetta:
- Under One Flag
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La puntina si appoggia e parte un riff grezzo, di quelli che zappano la chitarra, eppure da subito coinvolgente, tanto da farti alzare la testa ed ascoltare bene. Entra la batteria, il riff raddoppia e varia leggermente. Break ed ecco un altro riff clamoroso, strappato da “Hell Awaits” accompagnato dal tipico solo thrash, poi la voce inizia “The fires are burning deep down in Hell, the Warlords are ready to rise”. Il pezzo continua per un po’ su questa falsariga, con Sy Keeler che vomita blasfemo nel microfono; poi parte il classico mid-tempo di metà pezzo, che esplode in un bridge (quella che all’epoca alcune band chiamavano “mosh part”) ed un altro assolo. Si riprende con una variazione del primo riff, i ritmi sono serratissimi, e l’acuto di “Let There Be Death” chiude il pezzo. E’ il 1986 ed il vinile che gira sul piatto ha, nel centro, un disegno di una bandiera strappata ed il numero di catalogo FLAG 1: la prima produzione della Under One Flag. Chi scrive non ricorda cosa lo portò all’acquisto di questo disco dalla copertina anonima, di una band con un logo bruttino e dal titolo abbastanza insignificante. Allora non c’era internet e HM (il giornale) costava caro (ed un ragazzino delle medie doveva amministrare con parsimonia i pochi soldi che aveva); così i dischi si compravano spesso “a pelle”. Raramente, per non dire mai, un acquisto alla cieca si rivelò così clamoroso… “The Force” riparte con “Metal Forces” e gli Onslaught si confermano band geniale: una base di thrash europeo, condito da una quantità di riff eccellenti per canzone da far invidia a chiunque; canzoni lunghe e pesanti cui si aggiungono sprazzi di melodie da NWOBHM (la band è di Bristol) e violenza da puro hardcore (gli Onslaught, infatti, iniziarono proprio suonando questo genere). Quello che colpisce è come ogni pezzo si attesti sui sei o sette minuti senza mai stancare o risultare ripetitivo. Un esempio è la violenza blasfema di “Fight With The Beast” (violenza sia lirica che musicale, tanto che alcuni annoverano i primi due dischi degli Onslaught nella prima ondata black metal); non ci sono compromessi, le chitarre “ruspano”, la batteria tira senza tregua e la voce ci ricorda che “maledetti sono i mortali che osano combattere con la Bestia”. Quando il braccio torna al suo posto, l’effetto è quello di un pugno in pieno stomaco; una botta di thrash metal come ce ne sono (e ce ne saranno) pochissime. Con dischi di questa caratura, ci si chiede -al primo ascolto- quanto la band riuscirà a mantenere il ritmo ed il livello qualitativo; il vinile (supporto su cui fu pubblicato “The Force”, insieme ad un CD che pochi videro ed ancor meno comprarono, visto il costo nel 1986) acuisce questa sorta di attesa, dato che la fine di un lato porta ad una pausa, anche solo per il tempo di girare il disco; in più le tracklist -allora- venivano fatte proprio con questa logica e potevi trovarti quasi due dischi diversi (un esempio è “Battle Hymns” dei Manowar). Ecco che parte un inquietante organo che lascia posto all’ennesimo riff strepitoso, doppiato dalle chitarre che si “separano” e “riuniscono” fino all’incalzante uptempo imposto dalla batteria. Il meglio doveva ancora venire? Il chorus si imprime in testa fin dal primo ascolto, con la sua classica cadenza da sing-along e la voce che scandisce “Do what thou wilt, sacred law, church of hell”; qualcosa che colloca gli Onslaught fuori dal classico “blaterare satanico” e li inserisce, con una citazione di Crowley, tra le band che hanno cognizione di causa, che -insomma- “fanno sul serio” (che si sia o meno d’accordo, per carità). E’ questa, probabilmente, la chiave di lettura del disco: “The Force” è permeato da un che di diabolico ed oscuro, un inno al Male che risulta più “consapevole” di quello che fecero (per esempio) gli Slayer e accosta la band più ai Possessed di “Seven Churches”. Anche l’inizio di “Flame Of The Antichrist” è decisamente luciferino: una campana che accompagna delle dissonanze su cui si inserisce un down-tempo cupo, martellante ed ossessivo, qualcosa che ci attira in un buio denso e gelido. Poi parte un’altra perla thrash, con un riffing che ricorda molto quello che i Testament faranno successivamente con “The Legacy”, sopratutto nel chorus. Questo pezzo è, forse, il più atipico di tutto il disco o, comunque, differente dagli altri (è anche l’unico ad essere stato scritto anche da Jase Stallard, quando tutti gli altri portano la firma del solo Nige Rockett), risultando incredibilmente sinistro in alcuni passaggi e leggermente derivativo in altri; non certo una caduta di qualità, anzi: solo un pezzo leggermente diverso dagli altri. Non ci ripeteremo sulla qualità del riffing di questo disco, ma è ancora una serie di giri spaventosi ad aprire “Contract In Blood”; l’amelodicità della linea vocale rende questo, forse, il brano più estremo del disco, più che altro per un approccio che ricorda tantissimo i Venom e, in misura minore, Celtic Frost e Bathory (mentre il riff centrale è più che una citazione di “The Antichrist” degli Slayer). “Thrash ‘Til The Death” mantiene fede fin da subito al suo titolo ed inizia con una delle più classiche cavalcate thrash ed il suo chorus, ancora una volta, chiama al sing-along; gli Onslaught chiudono con l’episodio più corto del disco, un pezzo dalla connotazione decisamente live, quasi una promessa che il massacro uditivo di “The Force” sarà nulla rispetto alla ferocia di un concerto. Purtroppo, in quegli anni, gli Onslaught lasciarono il Regno Unito solo otto volte, passando per l’Italia un’unica volta, a Gorizia (qualcosa di irraggiungibile per un ragazzino che stava finendo le medie). Sy Keeler lasciò la band, ritenuto “non all’altezza” dalla nuova etichetta (la London Records) e sostituito dal più talentuoso Steve Grimmett; “In Search Of Sanity” venne dato alla stampa, un disco ripulito nel sound, edulcorato nelle lyrics e -all’epoca- incensato da parecchia critica. I fan non gradirono e -a dispetto di un’attività live molto più intensa (27 date di supporto al disco, contro un totale di 16 date precedentemente fatte dalla band)- gli Onslaught si sciolsero. I supporter della band, compreso il sottoscritto, dovettero aspettare il 2007 per vederli tornare in azione, ma questa è storia recente. Gli Onslaught, all’epoca, rimasero totalmente relegati in un ambito da cult band e regalarono al metal due dischi (“Power From Hell” e “The Force”) che contribuirono a creare quel terreno fertile su cui prosperò la frangia più estrema del thrash europeo e da cui mossero i primi passi le band death e black del Vecchio Continente.