7.0
- Band: OPERATION: MINDCRIME
- Durata: 01:00:33
- Disponibile dal: 01/12/2017
- Etichetta:
- Frontiers
- Distributore: Frontiers
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“You can’t control my mind”, ripete Tate in tono piatto e disilluso. L’indipendenza di giudizio e la volontà di agire secondo quanto dettato dalla propria testa, prendendo decisioni apparentemente incoerenti, impopolari e paradossali è d’altronde un tratto distintivo del bizzoso e geniale singer americano. In questo sta una fetta importante della sua grandezza, perché altrimenti i Queensrÿche sarebbero probabilmente rimasti ‘soltanto’ un’ottima progressive metal band: è altrettanto vero che dall’imprevedibilità dei comportamenti e da quella dei gusti musicali è dipesa una certa tortuosità del recente percorso artistico degli stessi Queensrÿche e dei successivi progetti di Tate. Parlando dei precedenti capitoli a firma Operation: Mindcrime, che con “The New Reality” dovrebbe esaurire la sua produzione discografica – usiamo il condizionale perché, dato il personaggio, non si sa mai cosa potrebbe riservarci il futuro – avevamo sottolineato come alcuni buoni spunti andassero a perdersi in un panorama di idee non sempre sviluppate compiutamente e in un’impalpabilità sonora di fondo che rendeva alla lunga arduo l’ascolto. Ciò nonostante, il nostro giudizio per “The Key” e “Resurrection” era stato tutt’altro che negativo. Per “The New Reality”, il discorso cambia addirittura in positivo. Il distacco con gli immediati predecessori è forte non tanto su un piano stilistico e di schemi compositivi, quanto di approccio generale e arrangiamento. Se l’indole cerebrale e intimista è rimasta intatta e lo svolgimento non propriamente irruento e il forte autocontrollo nei ritmi rappresentano un naturale proseguimento con quanto fatto in precedenza, apparenza e sostanza degli strumenti mutano sensibilmente. Come appare tangibile una qualità di scrittura solo sfiorata negli altri due album. Il rigore esecutivo delle parti di batteria e la loro solidità metallica vanno a costituire fondamenta essenziali alla tracklist del nuovo disco, che ci si pone davanti con una facciata scolpita di tratti netti, duri, proiezione di cupezze in procinto di concretizzarsi in un tetro domani. La spinta futurista di un “Rage For Order” sembra riaffiorare sotto le sembianze di canzoni che riportano alla luce il metal propriamente detto, grazie a un riffing debitamente irruvidito da missaggio e masterizzazione di Kelly Gray (co-produttore assieme allo stesso Tate) e freddi soundscape di sintetizzatori, asso nella manica di “The New Reality”. Il rintronante, misterioso declivio cui approda presto “The Fear”, che sembra perennemente sul punto di chiudersi e invece s’arrovella instancabile in un girotondo di tenebre digitali, rappresenta il manifesto di un’opera amara e labirintica, in senso positivo finalmente. Certe sperimentazioni inconsulte vanno in cantina, lo spezzettamento e il frastagliamento del suono assumono un senso compiuto, concretizzando una riuscita crasi fra feeling industrial e rock/metal intimista, come in “My Eyes”, quando effetti stranianti avvampano e si spengono in pochi secondi e il sax si fa strada sonnambulo, aprendo la strada a un chorus relativamente rilassato. Nella title track, cui appartiene la frase citata in apertura, esce cristallino il Tate più tormentato, che recita ancor più che cantare, un uomo capace di incanalare le sue visioni, paure, pensieri, riflessioni in un turbine emozionale appassionante pur se la narrazione avanza a scatti e non concede facili appigli. Nelle fusioni, stridenti e taglienti, di chitarre e tastiere si hanno non solo nella parvenza, ma più concretamente nell’essenza, rimandi all’epoca d’oro dei Queensrÿche a cavallo di fine anni ’80 e primi anni ’90. I toni sono ancora più criptici, l’umore complessivo abbattuto e introverso. Convince anche il ricorso al pianoforte e arrangiamenti sinfonici di una “All For What?”, che rispetto ai già noti pezzi ‘lenti’ degli Operation: Mindcrime, trasuda una carica emozionale molto più forte e una lucidità prima apprezzata a intermittenza. Qualche sfrondata nel minutaggio, lo ammettiamo, poteva essere data, la prolissità è un brutto vizio riscontrato nell’intera, breve, parabola degli Operation: Mindcrime. Le ultime tre tracce sono probabilmente superflue e anche in precedenza un lieve accorciamento nella durata dei singoli pezzi non sarebbe stata una cattiva idea. Tuttavia, “The New Reality” nel suo complesso convince. Mostrandoci anche che Tate, conscio delle sue attuali possibilità vocali, si muove benissimo su note basse e registri confidenziali, colpendo nel segno come non gli accadeva da tempo. Album promosso senza riserve, con alcuni picchi notevoli: non trascuratelo per partito preso.