7.0
- Band: OPETH
- Durata: 00:57:19
- Disponibile dal: 20/09/2011
- Etichetta:
- Roadrunner Records
- Distributore: Warner Bros
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Quando abbiamo ammirato in anteprima l’artwork di “Heritage”, è parso subito chiaro che il decimo album in studio degli Opeth sarebbe stato qualcosa di nuovo e diverso rispetto al passato; e, infatti, la nuova fatica della band scandinava riprende in maniera massiccia quelle influenze progressive da sempre nel suo DNA, che rappresentano soprattutto la grande passione del leader Mikael Åkerfeldt. Dimenticatevi il growl profondo dello stesso singer o le partiture aggressive dei primi lavori ed immaginate un elegante progressive rock in cui soffici tastiere d’atmosfera, Hammond, moog, mellotron sono sullo stesso piano delle chitarre, lasciando memoria del passato solo attraverso qualche accelerata e un mood oscuro che riaffiora di tanto in tanto, come nell’affascinante quanto profetica “I Feel The Dark”. La produzione calda e ovattata rimanda direttamente agli anni ’70 e il tentativo della band è proprio quello di farci respirare la creatività di quegli anni d’oro attraverso tracce complesse che non hanno paura di cambiare tempi ed atmosfere in maniera anche repentina, né di flirtare con il jazz. Impossibile non rimanere colpiti dall’ottima opener “The Devil’s Orchard” o dalla bellissima “Nepenthe”, in cui l’amico e produttore Steven Wilson sembra averci messo il naso; tuttavia, va riconosciuto che la band svedese, cimentandosi in questa nuova realtà, evidenzia qualche difficoltà di troppo in ciò per cui in passato è sempre stata lodata, ovvero gli stacchi di collegamento tra le varie parti. Canzoni come “Famine”e “Folklore”, ad esempio, ci regalano momenti di grande spessore artistico ed emotivo, ma si concedono troppe ripartenze, peccando in coesione. Il dito potrebbe essere puntato direttamente contro il drummer Martin Axenrot, apparso non propriamente a suo agio al cospetto di partiture che necessitano di un tocco più leggero e dinamico del suo, ma bisogna anche considerare gli inconvenienti derivanti dal drastico cambio d’identità. “Heritage” è un disco spartiacque, di cui apprezziamo soprattutto il coraggio e nella cui mole di idee troviamo una moltitudine di passaggi da restare a bocca aperta, ma la sensazione – anche ipotizzando una futura crescita con gli ascolti – è ch,e pur non demeritando, il meglio in questa direzione artistica gli Opeth lo debbano ancora scrivere.