7.5
- Band: OPETH
- Durata: 01:01:52
- Disponibile dal: //2002
- Etichetta:
- Music For Nations
- Distributore: Audioglobe
In seguito al successo di “Blackwater Park” e al conseguente, cospicuo aumento del numero di concerti e tour tenuti dal combo scandinavo, gli Opeth – ma soprattutto Mikael Åkerfeldt – rientrano in patria piuttosto frastornati e non proprio ispirati alla grande. Molte canzoni, o perlomeno spezzoni musicali da unire, sono pronte, ma la band si trova in difficoltà a rielaborare il tutto, giungendo così alla conclusione di dover dare uno strappo alla regola (ed uno al contratto con la Music For Nations), in modo da pubblicare due album separati, uno in classico stile Opeth, l’altro quasi completamente acustico. La prima parte di questo ambizioso progetto vede la luce a fine 2002, intitolata “Deliverance”: gli ingredienti di contorno sono più o meno quelli del disco precedente, ovvero Steven Wilson alla produzione e attivamente collaborante, Travis Smith all’artwork (questa volta aiutato nella ricerca dei soggetti dalla band stessa), i Fredman Studios, abbinati ai Nacksving Studios, per la registrazione; in fase di mixing e mastering, però, ecco arrivare il guru Andy Sneap…ed il suo lavoro su “Deliverance” si sente benissimo, essendo i suoni praticamente perfetti e finalmente completamente puliti, soprattutto per quel che riguarda la batteria. Peccato, nonostante tutto l’imponente spiegamento di forze, che l’album non sia certo memorabile: la fretta e l’approssimazione con il quale è stato concepito si percepisce fin dall’opener “Wreath”, un brano noioso e prolisso, probabilmente una delle peggiori cose mai scritte dal gruppo. Assieme alla strumentale (del tutto inutile e banale) “For Absent Friends”, “Wreath” è l’apice negativo di un lavoro comunque non deprecabile – si parla sempre di songwriting superiore a prescindere, in fin dei conti – ma che davvero splende molto di meno di quanto composto in passato dai ragazzi. L’oscuro visionario grafico si riflette anche nei testi di Mikael, mai così cupi, violenti e drammatici, ed anche nella scelta delle parti vocali, nelle quali il pulito perde nettamente punti nei confronti del growl da catacomba più consono alla violenza dei brani. “Deliverance”, l’ottima “A Fair Judgement”, “Master’s Apprentices” e “By The Pain I See In Others” fanno recuperare al platter qualche grado di apprezzamento, anche grazie all’utilizzo sorprendente di un riffing devoto al più classico death metal, oppure vagamente ispirato ad un sound più cadenzato e ritmico, difficile da scorgere, in modo così prepotente, negli episodi precedenti. Nulla è perduto, comunque, in quanto “Deliverance” venderà bene e sarà apprezzato soprattutto dalla schiera di nuovi, recenti fan. E nel frattempo, si fa spasmodica l’attesa per la seconda parte del “doppio disco” degli Opeth, l’attesissimo “Damnation”…