7.0
- Band: OPETH
- Durata: 00:55:00
- Disponibile dal: 30/05/2008
- Etichetta:
- Roadrunner Records
- Distributore: Warner Bros
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Gli Opeth procedono a passo spedito, essendo ormai diventati un nome di prima grandezza del panorama metal mondiale e potendo contare sul supporto di una etichetta potente e prestigiosa come la Roadrunner Records. Dopo aver suonato in tutto il mondo per promuovere “Ghost Reveries” e aver placato l’appetito dei fan più esigenti con il live “The Roundhouse Tapes”, per la band svedese giunge ora il momento di un nuovo full-length, il primo della sua carriera a godere dell’apporto dei nuovi arrivati Martin Axenrot (batteria) e Fredrik Åkesson (chitarra). In sede di regia c’è però sempre e comunque l’indiscusso leader Mikael Åkerfeldt, quindi sono da escludere a priori lampanti modifiche al classico stile Opeth. Al nono album in studio, sarebbe poi difficile per qualsiasi band partorire qualcosa di radicalmente inedito, quindi non c’è troppo da stupirsi che “Watershed” offra poco di davvero speciale, a livello stilistico. A dire il vero, il disco si apre con una traccia piuttosto sperimentale per gli standard dei nostri: l’acustica “Coil” dura infatti appena tre minuti e presenta – per la prima volta nella storia del gruppo – una voce femminile a duettare con quella di Åkerfeldt. Nathalie Lorichs, questo il nome della cantante, non è esattamente dotata di una voce particolarissima, tuttavia l’esperimento si rivela azzeccato. Da qui in poi, il disco si sviluppa invece seguendo quasi sempre le consuete coordinate opethiane, ovvero facendo ruotare con la solita destrezza sezioni acustiche e progressive e altre metal/death metal. Ascoltando bene il CD, risulta evidente come agli Opeth oggi interessi mettere particolarmente in risalto la suddetta alternanza di stili. Questa volta le aperture sognanti appaiono infatti sempre più palesemente ispirate a mostri sacri quali King Crimson e Pink Floyd e possono godere di un lavoro di tastiere assolutamente variopinto; quelle heavy, invece – complice anche lo stile più “cattivo” di Axenrot – accentuano la componente brutale, sfiorando a tratti partiture prettamente estreme (su “Heir Apparent” il sottoscritto ode persino tracce di Emperor!). La tracklist scorre armoniosa e tutto sommato piacevole, tuttavia, alla luce di svariati ascolti, si nota in un paio di episodi una certa carenza di quel pathos e di quella intensità che contraddistinguono buona parte delle precedenti composizioni (più o meno datate). Ogni tanto si ha insomma la sensazione di trovarsi di fronte “soltanto” a un altro disco degli Opeth… senz’altro gradevole e, ad esempio, superiore a un “Deliverance”, ma forse non trascinante tanto quanto altre opere della band. Ciò nonostante, rimarchiamo come l’ascolto sia comunque consigliato a tutti i fan, come minimo per godere di splendide canzoni come “Heir Apparent”, “The Lotus Eater” o “Hessian Peel”.