8.0
- Band: ORANGE GOBLIN
- Durata: 00:51:05
- Disponibile dal: 19/07/2024
- Etichetta:
- Peaceville
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Popolo del distorsore, della fantascienza e dell’orrore cosmico, gioite: dopo sei anni di silenzio dall’ultimo “The Wolf Bites Back” tornano gli Orange Goblin di Ben Ward e soci a risvegliare le nostre coscienze dal torpore dell’esistenza; lo fanno però in una maniera diversa dal solito, grazie a quella che si potrebbe definire la ‘maturità artistica’ che i Nostri hanno raggiunto in questi tanti anni a partire dal grezzume acerbo e dallo stoner smaccatamente rock’n’roll del bellissimo “Frequencies From Planet Ten”.
Nonostante la separazione da Martyn Millard nel 2021, infatti, l’ossatura della band rimane sempre saldamente ancorata sulla voce roca – e reminiscente del caro, vecchio Lemmy – di Ward, la batteria scatenata di Chris Turner e la chitarra ronzante di Joe Hoare, che danno il benvenuto a Harry Armstrong, in sostituzione del loro amico al basso.
Il risultato è un disco forse meno sguaiato e intriso di orrore lovecraftiano rispetto al lavoro precedente, ma “Science, Not Fiction” dimostra subito i fatti dall’iniziale “The Fire At The Centre Of The Earth Is Mine”, dove i riff sabbathiani di Hoare mettono subito in chiaro che nulla è cambiato a livello di composizione e, anzi, si cerca di andare sempre un po’ avanti, verso un universo più heavy metal.
I più attenti avranno capito dai titoli che le tematiche tipiche dell’heavy metal alla base dello stoner suonato dal quartetto la fanno comunque da padrone, come in “False Hope Diet”, che dal testo pare dedicata ai vari guru e profeti del web e della tv, nella fantascienza della finale “End Of Transmission” o in quello che sembrerebbe partire come un omaggio ai Mercyful Fate in “Cemetery Rats”.
Alla base, però, potremmo dire che questo è il disco più autobiografico di cui Ben Ward abbia scritto i testi, visto il suo cambiamento fisico e spirituale che lo ha visto nel corso di un anno cambiare completamente stile di vita: “Ascend The Negative”, la traccia iniziale e “The Fury Of a Patient Man” danno proprio l’idea di una persona che ha riscoperto se stessa, combattendo contro i fantasmi del proprio passato e trovando un nuovo modo di stare in piedi prendendo a pugni il mondo. Una variazione con un proprio peso specifico, per esempio, rispetto ai viaggi – fumosi e interstellari, con quel po’ di lerciume desertico a condire il tutto – dell’iconico “Time Travelling Blues” o alle lisergiche corse di “A Eulogy Of The Damned”, che pure restano una solida base per il sound dei Nostri.
La produzione, c’è proprio da dirlo, è forse la cosa più gustosa che dona alle nove tracce un tratteggio diverso da quello che ci si aspetterebbe da una formazione che ci ha così tanto abituati alla rozzezza: merito di Mike Exter, che in passato ha collaborato, giusto per scriverlo, a “Firepower” dei Judas Priest e a “13” dei Black Sabbath. Il risultato è che i suoni del disco sono caldi, ma mai sguaiati; anzi, se ne apprezza la perfetta divisone e pulizia fra gli strumenti: un lavoro davvero certosino e di classe.
Per una band che nel 2025 festeggerà trent’anni di carriera, arrivare al decimo disco senza mai aver mollato un colpo e con dei musicisti che si sono tutt’altro che adagiati sugli allori è una cosa eccezionale; per i fan dello stoner il 2024 si può considerare ottimo per le uscite ‘mainstream’, considerato anche l’eccelso ritorno in studio degli High On Fire di aprile.
Come dicono i nostri “It’s not rocket science, and we’re doing alright“: a dare gasolio al motore degli Orange Goblin ci sono ‘solo’ la vita, la passione e un ritrovato equilibrio con se stessi.