8.0
- Band: ORBIT CULTURE
- Durata: 00:45:30
- Disponibile dal: 07/08/2020
- Etichetta:
- Seek And Strike
Spotify:
Apple Music:
Un artwork tanto criptico, quanto spettrale e angosciante ci presenta questa terza fatica del quartetto svedese, fautore di un metal un po’ industrial e un po’-core, feroce, granitico e ricco di groove, ma dal piglio sufficientemente catchy da non risultare di ostica fruizione per i più.
La band di Eksjö declina magistralmente le influenze dei pilastri della scena contemporanea, sia quella del Vecchio Continente che quella a stelle e strisce, mescolando efficacemente le bordate groovy dei Decapitated con le bastonate -core senza quartiere dei Whitechapel, unendo il tutto sotto un’atmosfera asettica e chirurgica di scuola Nevermore e riuscendo così a creare un sound assolutamente convincente e personale.
Gli svedesi hanno mantenuto una buona costanza dagli esordi del 2013, inanellando due dischi di buon livello quali “In Medias Res” del 2014, e “Rasen” del 2016, e questo ultima opera non disattende quanto di buono fatto vedere finora, ma anzi mostra una band in piena forma e con ancora una voglia palpabile di picchiare duro. Il lavoro ha dalla sua un riffing tagliente ed ispirato, con svariati episodi che ci lasciano con un sorriso compiaciuto in viso, soprattutto verso la metà del platter, dove i Nostri sembrerebbero osare un po’ di più con lo sperimentalismo. Abbiamo pezzi quali “Open Eye”, figlia bastarda tra Fear Factory e Decapitated, che ci trascina per la collottola all’interno di un universo freddo come il metallo, “Mirrorslave”, che parte come un midtempo thrash scuola Testament ed esplode in una sfuriata senza quartiere, dinamica e piena di energia, oppure ancora “Nensha”, dove i Nostri corrono come matti, compiendo un vero e proprio attacco terroristico nei confronti delle nostre vertebre cervicali, ricordandoci i Nevermore di “Enemies Of Reality”.
Va fatto un doveroso plauso alla resa sonora di questa opera, dato che ci troviamo al cospetto di una produzione da grande label, con un sound rotondo e moderno che però non sa di plastica mainstream, andando a valorizzare sia il comparto ritmico, sempre in auge, sia le vocals del frontman Niklas Karlsson, credibile e a proprio agio su tutti i registri. Ottimi e ben congegnati anche i sempre presenti inserti di elettronica, che contribuiscono ad irrigidire l’atmosfera e a rendere l’esperienza ancora più intensa.
Insomma, come avrete capito, questo “Nija” ha fatto centro nei nostri cuori, e ha consacrato gli Orbit Culture come una delle band più interessanti di questo anno funesto, a parare di chi vi scrive. Da fare vostro senza se e senza ma, soprattutto se siete fan di queste sonorità.