7.0
- Band: ORDEN OGAN
- Durata: 01:04:54
- Disponibile dal: 22/01/2010
- Etichetta:
- AFM Records
- Distributore: Audioglobe
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Dopo aver ricevuto dei buoni responsi con i due precedenti dischi “Testimonium A.D”. e “Vale”, questa interessante band tedesca sbarca su AFM Records. Fautrici di un power metal sinfonico moderno piuttosto ricco di melodie e articolato a livello di arrangiamenti, gli Orden Ogan sono riusciti mettere insieme undici brani abbastanza vari ed ispirati soprattutto come ritmiche, che all’interno di un singolo pezzo spaziano da pesanti mid tempo ad accelerazioni improvvise, fino a rallentamenti verso aperture melodiche dalle sonorità più rilassate. Nel sound degli Orden Ogan trovano parecchio spazio anche orchestrazioni, affidate alle tastiere, e cori spesso molto in risalto. Un altro elemento distintivo della band è l’approccio vocale di Sebastian Levermann con il suo stile leggermente sporcato, tale da sembrare quasi impreciso sulle note più alte e per questo non da tutti apprezzabile, almeno ad un primo ascolto. I brani scorrono piacevolmente nonostante il minutaggio medio attorno ai sei minuti e lasciano trasparire varie influenze che vanno dal power di Blind Guardian, Gamma Ray, Sonata Arctica o Kamelot, al classic dei Maiden, sino a qualche puntata in territori vicini al thrash soprattutto a livello di chitarre. La buona traccia d’apertura “Nobody Leaves” contiene un po’ tutti gli elementi sopra indicati, con in particolare una serie di cambi di tempo tra i quali si incastra un ritornello molto arioso e immediato. La prima parte del lavoro, con l’altrettanto convincente “Goodbye” e la lunga titletrack, segue più o meno queste coordinate, mettendo anche in evidenza l’ottima preparazione tecnica dei musicisti. Nella seconda frazione dell’album i ritmi complessivamente rallentano un tantino e si notano pezzi di buona fattura come il mid tempo “Through These Dark Years”, uno dei migliori episodi del disco, e il bel lento “Requiem”. Echi di Blind Guardian in “Nothing Remains” non solo come drumming, vista la presenza dell’ex Thomen Stauch alla batteria, ma anche come cori, mentre la discreta anche se piuttosto sempliciotta “We Are Pirates” è non a caso un più che evidente tributo al sound dei Running Wild e per l’occasione la band ha invitato Majk Moti, ex-chitarrista degli ormai scioltisi pirati tedeschi. Un po’ noioso invece finale con “Of Downfall And Decline”, il brano più lungo e corale del lavoro, non malvagio in sé ma inserito in coda ad un disco già di notevole durata. “Easton Hope” è quindi un album non fenomenale ma ben fatto, da gustare con calma e specchio di una band ormai matura e in grado di scrivere musica di qualità.