8.0
- Band: ORDEN OGAN
- Durata: 00:48:28
- Disponibile dal: 16/01/2015
- Etichetta:
- AFM Records
- Distributore: Audioglobe
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Con “To The End” gli Orden Ogan firmarono sicuramente un grande album, che oltre al suo intrinseco e già alto valore si distingueva soprattutto per il raggiungimento di una maturità e un’identità precisa, staccata dai modelli di sempre (Blind Guardian e Running Wild su tutti). Facile dunque pensare che in molti li aspettassero al varco all’inizio di questo 2015, per valutare se quanto di buono (ed era veramente tanto) si poteva ascoltare su “To The End” lo si sarebbe trovato anche su questo “Ravenhead”. Senza troppi giri di parole… Sì. Ed è un affermazione piena, pulita, senza macchie o dubbi di sorta. “Ravenhead” è sicuramente all’altezza del predecessore, è una bomba di power metal epico e glorioso ma anche ruvido e furente, sublimazione di quell’equilibrio tra ricerca ed immediatezza che sempre si vorrebbe sentire. Un disco che di fatto centra un obiettivo mancato da molti… “Ravenhead” mantiene il tiro, la rozzaggine e l’approccio del power sporco di Grave Digger e Running Wild, ma non rinuncia all’eleganza delle melodie degli Hammerfall, possiede la complessità e la stratificazione dei Blind Guardian, risultando al contempo immediato e catchy. E’ quindi proprio grazie all’impeccabile dosaggio di queste caratteristiche che già dal precedente album i consensi nei confronti degli Orden Ogan stanno salendo, proiettando la band su vette sempre più alte nella scena power. L’apertura dell’album è affidata alla evocativa e in qualche modo auto-intitolata intro “Orden Ogan”, la quale introduce con ricchi arrangiamenti da colonna sonora la prima scarica elettrica delle due chitarre, vere protagoniste (insieme ai cori) della titletrack “Ravenhead”. La canzone scorre piacevole, senza magari l’impatto esplosivo dell’opener di “To The End”, ma dotata di una maggior epicità che ci fa venire i brividi di piacere. Il ritornello di “F.E.V.E.R.”, ripetuto molteplici volte da un coro mai così potente, è il primo timbro di ‘Documentazione D’origine Orden Ogan’ che i Nostri mettono sull’album… impossibile che non vi si stampi in testa dal primo ascolto! La successiva “The Lake” accarezza una melodia maggiore e stringe maggiormente l’occhio alla dimensione live, senza per questo risultare più commerciale; mentre il capolavoro “Evil Lies In Every Man” ci presenta il secondo, indimenticabile, ritornello dell’album, un passaggio assolutamente infettivo, che non ci stiamo togliendo dalla testa nemmeno ora. L’ospitata di Chris Bolthendal sulla successiva “Here At The End Of The World” aggiunge colori diversi ad un pezzo ancora una volta ancorato al power metal ma che vive di molto di più, sempre sospeso tra ritmiche quasi thrash, sfumature progressive e inserti folkloristici. Il folklore e la melodia sono le protagonista indiscusse della successiva “A Reason To Give”, ballad dal sapore medievale che non può non rimandarci ai fasti dei ben noti ‘Bardi’ teutonici nel campo delle canzoni lente ed evocative. “Deaf Among The Blind” attacca con una violenza ancora maggiore rispetto alle precedenti canzoni, e vi assicuriamo che la ritmica non avrà problemi a farvi muovere la testa, almeno fino a quando, come succede qui, non ci si imbatte in un inaspettata apertura melodica affidata alla tastiera, utile a rallentare i ritmi e aumentare la longevità del brano. La presenza di Joachim Cans degli Hammerfall sulla successiva “Sorrow Is Your Tale” non fa che aumentare la nostra curiosità di vederli dal vivo (proprio al fianco degli Hammerfall), mentre le conclusive “In Grief And Chain” e “Too Soon” chiudono degnamente un album come dicevamo sia epico e mastoso che diretto e potente. A conti fatti, questo album riesce dove troppi hanno fallito… se la deriva orchestrale e complessa dei quattro di Krefeld vi ha stancato, non preoccupatevi, gli Orden Ogan non hanno di queste eccessive velleità. Se l’approccio pulito e leggerino delle band power a la Sonata Arctica vi fa venire l’orticaria… le uniche macchie che con “Ravenhead” troverete sulla vostra pelle sono quelle dei lividi che le telluriche ritmiche vi avranno lasciato. Tutti contenti, per una volta.