7.5
- Band: ORIGIN
- Durata: 00:34:44
- Disponibile dal: 04/07/2014
- Etichetta:
- Agonia Records
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Con “Omnipresent” gli Origin giungono al ragguardevole traguardo del sesto album in carriera, che potrebbe essere idealmente divisa in due parti ben distinte: la prima, rappresentata dalle prime tre uscite discografiche, presentava una band esplosiva, dall’altissimo potenziale ma ancora acerba e non completamente sicura dei propri mezzi, autrice di lavori già spiazzanti ma non ancora del tutto curati a dovere. Poi però è arrivato “Antithesis”, il vero momento di svolta per il gruppo, che riesce finalmente ad organizzare le proprie trovate geniali in un piano follemente lucido, preciso, dando forma ad un prodotto che aumenta la popolarità della band a livelli esponenziali e la lancia di diritto nel giro “di quelli che contano” del panorama death americano e mondiale tutto. “Entity”, il suo successore, mostra un particolare sviluppo dei concetti messi in bella mostra nel recente passato, concentrandosi soprattutto su arrangiamenti al limite del funambolico ed una particolare attenzione per il versante ritmico della loro proposta, perdendo in parte le melodie al fulmicotone che caratterizzavano appunto “Antithesis”. Dopo la grande sorpresa e la conferma delle proprie capacità, “Omnipresent” chiama quindi gli Origin a ribadire una volta per tutte lo status che hanno raggiunto nel corso di questi anni, e proprio in questa ottica, il nuovo album rappresenta sicuramente la prova del nove per il quartetto di Topeka. Crediamo sia giusto fugare da subito ogni dubbio, e poter confermare senza rimpianti un nuovo successo raggiunto dalla compagine americana, che mette in mostra in “Omnipresent” una giusta amalgama degli elementi che più avevano entusiasmato nelle passate release: la doppietta iniziale, ad esempio, rappresentata da “All Things Dead” e la nevrotica “Thrall:Fulcrum:Apex”, richiamano in un sol colpo i tipici riff “in staccato” della band, con un gradito ritorno dei rapidissimi inserti in tremolo picking che donano alle canzoni quell’inconfondibile tocco alieno e futuristico, mentre “Manifest Desolate” e “Absurdity Of What I Am ”, maggiormente vicine all’operato di “Entity”, ripercorrono l’approfondimento ritmico già sottolineato di questo album con un grandissimo lavoro di Longstreth alla batteria, che mai come oggi usufruisce anche di beat “lenti” per spezzare il ritmo frenetico del platter. Un uso più frequente di tempi medi e lenti è infatti sicuramente la novità maggiore riscontrabile tra i solchi dell’album, che riesce nel difficile compito di non appiccicare semplicemente soluzioni prese in prestito qua e là dai precedenti lavori, ma elaborarle in maniera compiuta verso una vera evoluzione per il gruppo. “Malthusian Collapse” e “The Indiscriminate” in questo senso, fungono veramente da modelli esemplificativi di quanto detto: la prima è portatrice di una violenza fuori dal comune rispetto alla pletore di realtà “di plastica” che invadono il mercato odierno, mentre la seconda, memore delle allucinanti atmosfere di “Antithesis” e della sua titletrack soprattutto, mostra un versante sperimentale inaudito per gli Origin, che oltre a ribadire quindi, innestano nuovi, proficui elementi nel proprio seminato musicale: sentite in questo senso “Redistribution Of Filth”, col suo incedere caro alla scuola crust-hardcore, e diteci se vi sareste mai aspettati un brano del genere dagli americani! Perso in parte l’effetto sorpresa che li aveva portati alla ribalta, gli Origin oggi preferiscono giocare d’esperienza, amalgamando in parti uguali il passato con il presente, soluzioni ormai “classiche” rispetto al loro stile, ad una prassi ed un metodo esecutivo sicuramente più curato ed in continua evoluzione. Per questa volta il gioco funziona ancora, ed alla grande aggiungiamo; non possiamo al momento chiedere di meglio da questo vero e proprio unicuum del death metal più tecnico ed avanguardistico.