7.0
- Band: ORIGOD
- Durata: 00:35:15
- Disponibile dal: 31/05/2024
- Etichetta:
- Argonauta Records
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Curiosa la decisione degli Origod di indicare come nome tutelare quello dei Cave In, una band che, un po’ per ostinazione (il ritorno alla Hydrahead dopo la pubblicazione di un album ad altissimo potenziale radiofonico come “Antenna”) un po’ per oggettiva sfortuna (la tragica morte di Caleb Scofield nel 2018) si è sempre fermata alla soglia di un successo che avrebbe invece meritato pienamente.
Scelta inusuale, si diceva, ma coerente, visto che nel migliore dei casi le canzoni del quintetto piemontese evocano la medesima vertigine, la stessa sensazione di caduta libera che si percepisce nella scrittura di Stephen Brodsky e compari.
Nati nel 2007, gli Origod hanno guadagnato gradualmente visibilità grazie ad una intensa attività live e alle recensioni lusinghiere ottenute dal secondo album “Solitude In Time And Space”, pubblicato dalla Argonauta Records, che ora rinnova il suo impegno anche per questo nuovo lavoro.
“Impression” si fa annunciare dai due singoli ”When They Lock The Door” e ”Icarus”: il primo suona come una versione più muscolare dei Quicksand, mentre il secondo è illuminato da un inciso melodico che omaggia “In/Casino/Out”, e proprio dagli At The Drive-In il quintetto dovrebbe imparare a sfruttare meglio le proprie intuizioni, evitando di ragionare esclusivamente sul senso di urgenza di un pezzo; con un arrangiamento più meditato, “Icarus” avrebbe infatti potuto essere la chiave di volta di un album che sicuramente affascina (per le potenzialità che la band lascia trasparire), ma al tempo stesso indispettisce per alcune scelte frettolose ed imperfezioni, riuscendo a convincere pienamente solo nella sua parte centrale.
Nel cuore del lavoro, infatti, si possono trovare i brani migliori: la title-track riporta l’ascoltatore agli anni del crossover, con l’incedere aggressivo dei primi Mastodon nella strofa a cui risponde la vena melodica dei Smashing Pumpkins nel ritornello; “Sometimes”, che si avvicina, per ritmi e scrittura, ai migliori già citati Cave In di sempre (nonostante un’introduzione interlocutoria) e “Lapis Niger”, uno sferragliante numero post-hardcore melodico dove le chitarre di Rubens Caligiuri e Dario Chiadini si abbandonano ad una battaglia incessante.
Al contrario, il respiro si fa corto sul finale, perché i ritmi spezzati di “Wounds” sembrano volerla avvicinare ai Sumac di Aaron Turner, ma la trasformazione rimane incompiuta, visto che anche “Perception Review” non sfrutta a dovere il riff melodico in apertura e arriva fiaccamente al suo finale, mentre “Blessed of Cursed” prova a ripetere l’exploit di “Sometimes”, riuscendoci però solo in parte.
Non sapremo mai se questo fosse il risultato che gli Origod cercavano, eppure, al pari dei dischi dei ‘mentori’ Cave In (da “Perfect Pitch Black” in poi, almeno), “Impression” è un album che richiede tempo perché ci si possa affezionare, e non sempre riesce a convincere a pieno; ciononostante, merita più di una possibilità, proprio per quel pugno di canzoni (“Icarus”, “Sometimes” e soprattutto “Lapis Niger”) che lasciano immaginare, sperare, intravedere un futuro promettente per la band.