8.0
- Band: OROMET
- Durata: 00:43:17
- Disponibile dal: 07/11/2025
- Etichetta:
- Hypaethral Records
- Transylvanian Recordings
Spotify:
Apple Music non ancora disponibile
In “Brutti, sporchi e cattivi”, durante un pranzo di battesimo in cui verrà avvelenato il protagonista (un magistrale Nino Manfredi), Ettore Scola fa sussurrare a una commensale: “Voi non sentite freddo? È come una folata di vento, è come se fosse un velo bagnato che ti passa sopra le spalle, un velo di morte”.
Da più di trent’anni il funeral doom è presente nella discografia di qualsiasi appassionato di metal per rassicurarlo che, anche quando dovrà varcare inevitabilmente quella soglia, lo farà almeno con un sottofondo adeguato.
Nel 2023 gli Oromet ci hanno stupito con un esordio omonimo che riprendeva le intuizioni dei Bell Witch e dei Mournful Congregation, declinandole tuttavia in modo personale. Gli autori di “Mirror Reaper” hanno infatti spesso esternalizzato la parte emozionale delle loro composizioni, affidandola a collaboratori quali l’aedo moderno Aerial Ruin, mentre gli Oromet lavorano in modo autarchico, considerando la melodia parte integrante di un tessuto sonoro che, a differenza di quello dei gruppi che li hanno ispirati, non svela scorci di paesaggio con parsimonia, ma eleva l’ascoltatore in una visione d’insieme, rivelando una maestosità affine a quella dei Panopticon.
Il nuovo “The Sinking Isle” condivide con l’album di debutto minutaggio e struttura della scaletta (una suite e due brani relativamente più brevi), ma opta, pur senza rinunciare agli slanci melodici, per un’atmosfera più greve e pregna di pessimismo, degna di un’avventura destinata al fallimento.
Sono le chitarre elettriche a guidare, prima dolenti, poi epiche, i venti minuti di “Hollow Dominion”, che si dipanano liquidi intorno alla narrazione solenne di Dan Aguilar, mentre “Marathon” invece si divide tra una cadenza ritmica tipicamente funeral doom (merito del polistrumentista Patrick Hills) e una seconda parte in cui la melodia, appena accennata nei primi minuti, trova finalmente uno sfogo.
E poi, poi arriva “Forsaken Tarn”, dove la desolazione dell’ambiente intorno al protagonista si fa rassegnata resa ai ricordi e al tempo (“I gaze deeply into that cruel mirror/A tired and sunken face gazes back”), in un intreccio elettrico degno dei migliori Pantheist.
Con “The Sinking Isle” (nobilitato in copertina da un’illustrazione dell’artista fantasy Ted Nasmith), gli Oromet compiono un passo coraggioso, alzando il livello di sfida nei confronti dell’ascoltatore e costringendolo a confrontarsi con un percorso meno orecchiabile (ma altrettanto riuscito) degli esordi. A questo punto siamo curiosi di capire come queste composizioni potranno trovare compimento in sede live. Nel frattempo, però, diteci: voi non sentite freddo?
