9.0
- Band: ORPHANED LAND
- Durata: 01:08:04
- Disponibile dal: 23/02/2004
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Self
Spotify:
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Otto anni di attesa, otto lunghi anni trascorsi nel dimenticatoio…anni di sofferenza segnati da un silenzio poco rassicurante; “dove diamine sono finiti gli Orphaned Land?”, si chiedeva chi scrive…già, perché dopo aver firmato per la prestigiosa Century Media, a seguito dell’eccezionale exploit fornito, nel 1996, da “El Norra Alila”, un album da rispolverare sempre e comunque, la band israeliana bloccò di punto in bianco la propria attività, obliandosi in un tenebroso limbo. Ebbene, ora, chiunque conosca già la loro musica non potrà fare a meno di esultare, di fronte all’agognato rientro sulle scene della “Terra Orfana”: Kobi Farhi, Yossi Sasi (ora divenuto Saharon) e gli altri ragazzi hanno infatti confezionato un disco incredibile, il quale funge da punto di (ri)partenza, oltre a rappresentare un imponente miglioramento qualitativo, riscontrabile da qualunque punto si tenti di analizzare quest’opera. Opera, sì, in quanto per fornirvi un ideale termine di paragone, si potrebbe dire, avendo la quasi certezza di non sbagliare, che “Mabool” degli Orphaned Land sta al death metal come “A Night At The Opera” dei Blind Guardian sta al power. Trattasi, quindi, di una sorta di musical death sacro-metallico, infarcito da ogni possibile soluzione strumentale e vocale, che non ha precedenti nella storia dell’heavy metal: immaginate un epico campo di battaglia, dove Paradiso ed Inferno guerreggiano ad armi pari, dove Luce ed Oscurità giocano ad annullarsi, in un delirio di Angeli in fiamme e Demoni baciati da Sapienza Divina. Partiture death, zeppe di riff magici ed originali, inserti di folk arabo che sono parte intrinseca della matrice-base del songwriting degli Orphaned Land, decine di percussioni e strumenti tipici utilizzati, arrangiamenti di pianoforte, violino e tastiere mai fuori posto, chitarre classiche e acustiche che donano al tutto una classe sopraffina, cori, gorgheggi, vocalizzi e lamenti orientali, sia femminili sia maschili…un’orgia di suoni che appaga in maniera totale. Tecnicamente ineccepibili, i cinque strumentisti del gruppo non sbagliano niente, sorretti da un Kobi Farhi cresciuto esponenzialmente, in grado di destreggiarsi benissimo con un growl molto efficace e una voce pulita inconfondibile. Ovviamente, tale capolavoro non poteva esimersi dall’essere un concept-album, basato presumibilmente sulla Storia dell’Umanità, dalla Creazione fino al Diluvio Universale (“mabool”, appunto, significa “flusso, diluvio”), e declamato attraverso testi sacri cari a varie credenze, nonché cantato in ben cinque lingue (inglese, latino, ebraico, arabo e yemenita)! Inutile parlare dei singoli pezzi: come i migliori dischi concettuali, anche “Mabool” deve essere assorbito in toto…certo è che la band non si lascia mancare niente, fra song strumentali (“Rainbow” e “The Calm Before The Flood”), ballate in stile orientale (“Building The Ark”), brani di puro folk arabeggiante (“A’salk”), canzoni, diremmo qui, da sagra paesana (“Nora El Nora”) ed infine il resto delle track, piccole grandi sinfonie di metallo melodico particolarissimo (e fra queste, la title-track è realmente da brividi). E quindi, come avrete già intuito, rimane ben poco da dire: questo è e rimarrà un disco unico nel suo genere, nulla e nessun altro riuscirà a fare altrettanto. Intenso e bellissimo. Semplicemente memorabile.
N.B.: assieme a “Mabool”, nella sua limited edition, troverà spazio un CD-bonus, intitolato “The Calm Before The Flood” e contenente cinque tracce acustiche registrate live a Tel Aviv.