7.5
- Band: ORTHODOX (US)
- Durata: 00:32:25
- Disponibile dal: 06/06/2025
- Etichetta:
- Century Media Records
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Da non confondere con la doom metal band di Siviglia, gli Orthodox di Nashville, Tennessee, continuano il loro percorso scolpito tra metalcore, hardcore e nu-metal. Senza alcuna vergogna per aver assorbito il bounce di Korn e System Of A Down insieme all’aggressività di Slipknot e Meshuggah, il quintetto, guidato dal vocalist Adam Easterling, arriva infatti a definire ironicamente il sound del gruppo come “big pants music”, con divertito riferimento ai pantaloni fuori scala che il movimento nu popolarizzò tra fine ’90 e inizio 2000, ironicamente tornati di moda proprio di questi tempi.
Nessuna attitudine da dito medio o faciloneria da tute dell’Adidas, sia chiaro: i chiari riferimenti citati sono evidenti e pulsanti in quell’indole ferita e violata che sfoga la propria frustrazione e il proprio disagio in chiave terapeutica, come hanno fatto Jonathan Davis e Corey Taylor prima di essere addomesticati dal successo. È bene specificare che “A Door Left Open” si avvicina anche alle cupe sonorità di End e Vein.fm, ovvero quell’hardcore caotico moderno fatto di pezzi di due minuti, cambi di ritmo, rabbia e negatività. Se l’apporto del vocalist rimane di primissimo livello e di alto tasso emotivo, anche se lo stile ricorda ancora da vicino i sussurri/spoken word/vocalizzi di David Gunn dei King 810, la band alza decisamente il livello rispetto ai dischi precedenti, estremizzando le ritmiche (“Can You Save Me”), lavorando su riff memorizzabili (“Dread Weight”) e talvolta abbracciando soluzioni fantasiose e fuori dagli schemi (“Sacred Place”) o giocando con sample elettronici (“Searching for a Pulse”). Nessun calo di tensione in una tracklist che scorre veloce, sfruttando al massimo featuring d’eccezione come Matt McDougal dei Boundaries (“Blend in with the Weak”), Andrew Neufeld dei Comeback Kid (“Commit to Consequence”) e addirittura Brann Dailor dei Mastodon (“One Less Body”), che porta senza preavviso in una dimensione spaziale la traccia più primitiva del disco.
Con l’ottimo lavoro di Randy LeBoeuf in console (visto recentemente insieme a Kublai Khan, Boundaries e Jesus Piece), questo “A Door Left Open” è il passo avanti di cui gli Orthodox avevano bisogno per entrare tra i protagonisti di una wave, quella del nu-metalcore, su cui diverse formazioni stanno capitalizzando in barba a loro, che avevano teorizzato questo tipo di fusione di generi parecchi anni prima. Se in futuro riuscissero a lavorare maggiormente sulla personalità – e in questo senso le similitudini con la voce dei King 810 restano davvero limitanti, a parere di chi scrive – o ad aggiungere con successo qualche deviazione sonora al repertorio, al momento sin troppo concentrato sul solito playbook, saremmo davanti ad un gruppo che riuscirebbe a girare da headliner anche nel Vecchio Continente.
“A Door Left Open” resta in ogni caso un disco intenso, dinamico e coinvolgente, che intrappola l’energia che la band è in grado di sviluppare dal vivo, comprese quelle piccole parentesi di ironia che smorzano sapientemente la tensione.