9.0
- Band: OVERKILL
- Durata: 00:37:26
- Disponibile dal: 15/10/1985
- Etichetta:
- Megaforce Records
Spotify:
Apple Music:
Quando si parla di thrash metal, spesso e volentieri ci si inerpica lungo le ruvide pareti tracciate dall’annosa questione su chi siano davvero i Big 4 del genere. Ci si chiede se gli attuali detentori del titolo siano meritevoli o meno di tale nomea e di conseguenza, a fronte dell’amletico dubbio, nascono nuove classifiche con l’inserimento di band erroneamente escluse dall’importante riconoscimento. Ora, al di là della credibilità che possa avere un gruppo in base alla sua presenza o meno tra i ‘quattro grandi’ del thrash, c’è una band, in assoluto, che viene sempre chiamata in causa, che mette d’accordo tutti, proprio per l’attitudine genuina, spontanea, diretta, che traspare in ogni componente, in special modo nel suo frontman; il suo nome? Overkill.
Esploso ad inizio anni Ottanta sulla costa est degli Stati Uniti, il quartetto del New Jersey iniziò ufficialmente a pestare i pugni a metà del decennio, in risposta all’incendiario movimento scoppiato in quegli stessi anni sul versante occidentale, dove la seminale Bay Area aveva dato il via ad una furente quanto fondamentale ondata metallica senza eguali – in quello stesso periodo, giusto per farci un’idea, uscirono “Bonded By Blood” degli Exodus e “Killing Is My Business… And Business Is Good” dei Megadeth. Definiti negli anni i Motörhead del thrash (chissà da chi presero spunto per scegliere il monicker del gruppo?), gli Overkill unirono irriverenza, tecnica ed una discreta dose di incazzata melodia, così da lanciare autentiche stilettate elettriche lungo tutta la colonna vertebrale.
A celebrare quanto appena scritto, arrivò, proprio nel 1985, l’esordio fulmineo e ‘guerrafondaio’ targato Megaforce. Il logo della band sovrasta quattro losche figure rigorosamente in ombra; dietro di esse solo fiamme. Una copertina essenziale, diretta, che trasuda energia, che brucia di energia, “Feel The Fire” appunto. D.D.Verni a martellare con il suo basso, Bobby Gustafson ad intagliare riff maligni, Rat Skates on the drums e poi lui, Sua Elettricità Bobby ‘Blitz’ Ellsworth, con quella voce da rasoio (amata ed odiata) a dir poco particolare. Una formazione corroborante, tanto su disco quanto su palco: una vera e propria scossa. Ed è questa la sensazione che si prova nel momento in cui “Feel The Fire” inizia a bruciare nelle casse dello stereo: è “Raise The Dead” ad aprire le danze (o meglio, le tombe) dando la sveglia alle orecchie ancora assonnate del giovane metallaro. L’incedere roccioso e tellurico, alla Judas Priest, macina riff in serie mentre, già dalle prime note, l’ugola di Bobby comincia ad impazzire facendo lievitare l’adrenalina generale. Ghiandole surrenali che subiscono un ulteriore contraccolpo con la successiva “Rotten The Core”, uno dei brani-simbolo degli Overkill, onnipresente in ogni loro show. La risata malefica e inimitabile del singer americano ci introduce in questi cinque-minuti-cinque di autentica euforia nevrotica: un pezzo secco, coinvolgente e contraddistinto da tre riprese sonore, quasi fosse un match di pugilato senza esclusione di colpi fino agli ultimi e letali ‘rot-rot-rot-rot-rot’. Non vi sono pause, non si tira il fiato e con “There’s No Tomorrow” il terzetto iperattivo che dà il via all’album trova il suo compimento: più oscuro dei due precedenti, il brano si fa notare anche per un breve intermezzo malinconico ed introspettivo ad anticipare una nuova accelerata di ritmo guidata dalla coppia Verni-Skates. Diversamente dai compagni di costa, tali Anthrax, avvezzi a sonorità più inclini all’hardcore, gli Overkill, almeno inizialmente, mantennero un solido legame con lo speed metal di matrice europea: un connubio ben testimoniato da “Second Son”, in cui richiami maideniani riecheggiano in più di un’occasione dalla sei corde di Gustafson. Un stacco dal sapore NWOBHM in attesa della cascata sismica riversata sulle nostre teste da “Hammerhead”: terremotante, con il basso di D.D. a scandire i battiti di questa autentica mazzata sonora, mentre la voce carismatica di Bobby si diletta a fucilarci le orecchie a suon di ‘hammer’. La seconda delle quattro hit che, più delle altre, valorizzano il debutto della band del New Jersey. Sì, perché quando anche l’ultima martellata colpisce nel segno, arriva proprio lei, la title-track. Un sibilo lontano s’insinua lentamente tra i nostri timpani, lasciando poi che l’arma del buon Verni cominci a tracciare un solco di continui sussulti sui quali la chitarra di Gustafson si diverte a lanciare sferzate mordaci e adrenaliniche. “Feel The Fire” è trascinante, rapinosa, esaltante, che ben rispecchia l’animo dell’ensemble americano.
Per parecchi thrasher il debutto degli Overkill verrà migliorato negli anni a venire da “Years Of Decay” e dal successivo “Horroscope”: può essere, ma riuscire a centrare un esordio di tale portata, quando sul mercato, oltre ai succitati lavori di Exodus e Megadeth, uscirono album del calibro di “Spreading The Disease”, “Endless Pain”, “Infernal Overkill” e “Fear Of Tomorrow”, non era un’impresa così semplice. Bobby & Co. invece ce l’hanno fatta, sparando sulla folla, oltre ai brani fin qui analizzati, autentiche bombe a mano come la fulminea “Blood And Iron” e la sottovalutata “Kill At Command”, un pezzo ben articolato che avrebbe meritato miglior sorte in sede live se si pensa che è stato riportato in scaletta nel 2016, in occasione del concerto celebrativo di Oberhausen, dopo quasi trent’anni di assenza dalle setlist. A chiudere il primo di una serie di pugni in faccia sferrati dal fascio di nervi chiamato Bobby ‘Blitz’ ci pensa l’omonima “Overkill”, forse il brano meno intenso dell’intero full-length. Poco importa, quelle fiamme erano il primo indizio di un incendio fragoroso che, a conti fatti, non si è mai spento. Se per qualche strano motivo qualcuno non fosse dotato di tale album, faccia ammenda e rimedi subito. Grazie!