8.0
- Band: OVERKILL
- Durata: 00:51:03
- Disponibile dal: 22/02/2019
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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“Habemus metal album dell’anno”. Di già? Così presto? Beh, allora diciamo che come antipasto, in vista delle prossime bombe (sempre se arriveranno), non c’è da lamentarsi. Se qualcuno vorrà sfornare qualcosa di meglio nei prossimi dieci mesi dovrà sudare le fatidiche sette camicie – o meglio sette canottiere, se guardiamo la classica tenuta live del cantante della band qui presente. Loro sono ovviamente gli Overkill e lui non può essere altro che ‘Sua Elettricità’ Bobby ‘Blitz’ Ellsworth. Dopo essere ri-esplosa nel 2010 con “Ironbound”, l’indistruttibile macchina from New Jersey non ha più sbagliato un colpo e con “The Wings Of War” marchia ulteriormente il proprio nome tra i sacri esponenti della musica d’acciaio. Breve inciso prima di scendere nei particolari: abbiamo parlato di ‘metal’ generico nella nostra proclamazione latina proprio per sottolineare come il nuovo full-length firmato Overkill non accontenterà solo i thrash fan, ma riuscirà a chiamare a sè anche i sostenitori di sonorità più ‘classiche’, grazie, appunto, per la sua versatilità.
Una maggiore apertura sonora che probabilmente farà storcere il naso ai puristi del genere ma che invece, da parte nostra, riteniamo essere un ulteriore passo in avanti dell’ensemble statunitense. Una diciannovesima fatica in cui c’è n’è proprio per tutti i gusti. Ed è questa l’arma vincente, che fa di “The Wings Of War” un album completo e compatto. Abbiamo il thrash nudo e crudo, l’heavy, il punk, episodi più moderni, qualcun altro più cadenzato, altri più puliti. Un full-length che, se da una parte smorza sicuramente il tiro rispetto al tritaossa prodotto due anni fa con “The Grinding Wheel”, dall’altra rimanda l’orecchio proprio a quei due lavori rilasciati all’inizio del decennio in corso. Tutti comunque bollati dal tipico timbro della band di Chaly (il simpatico e scheletrico pipistrello, simbolo storico degli Overkill dal 1988): dal basso tonante di D.D. Verni alla voce schizzata di Bobby, dai riff corroboranti della coppia Linsk-Teller alla duttilità ed efficacia dell’ultimo arrivato, quel Jason Bittner già batterista degli Shadow Fall nonché ex drummer dei Flotsam And Jetsam.
Quanto ad energia, basta chiedere anzi, basta pigiare play e mettersi in ascolto dell’intro quasi spaziale di “Last Man Standing”, prima che la classica rincorsa tellurica apra le porte al cingolato ritmico americano. Impreziosito da un refrain più che orecchiabile, l’opener del nuovo album, già ampiamente presentata nelle scorse settimane, ci conferma, a questo punto nemmeno troppo sorprendentemente viste le ultime prestazioni in studio, la forma smagliante dell’act a stelle strisce. Il match è appena iniziato e “Believe In The Fight” arriva diretta come un vero e proprio pugno in faccia, in pieno volto; altra hit sopra le righe. Con due brani gli Overkill avrebbero già superato l’esame, ma da un gruppo del loro calibro, ci si aspetta sempre qualcosina di più, che vada oltre la ‘normale’ garanzia qualitativa. E se quest’ultima viene mantenuta prima con l’oscura e martellante “Head Of Pin” (secondo singolo pubblicato e, se vogliamo, anche il ‘pezzo meno’ del disco) quindi dalla misteriosa “Bat Shit Crazy”, è con la distorsiva “Distortion” che i nostri guadagnano ulteriori punti. L’avvio maligno e strumentale lascia il posto ad un pezzo ostico, spigoloso, arricchito da un più che godibile intermezzo sonoro messo a segno dai due axemen. Ma non è finita. L’apice energetico viene raggiunto dalla fulminea e ‘melodiosa’ “A Mother’s Pray”, mentre con “Welcome To The Garden State” D.D. e soci tornano alle loro radici musicali dedicando alla propria terra d’origine (The Garden State è il nickname affibbiato al New Jersey, ndr) un pezzo punk, letteralmente presentato in chiave Overkill; colli nuovi cercasi. Ha invece un leggero sapore ‘metallico’ l’intro di “Where Few Dare To Walk” che si assesta come un perfetto esempio di mid tempo heavy sudorifero al 100%, roccioso e coinvolgente.
Si scriveva qualche riga fa dell’apporto determinante di Bittner: e la conferma giunge puntuale dalla terremotante “Out On The Road-Kill”, episodio micidiale in cui è proprio lo stesso drummer a farla da padrone, innalzando quello che è il classico pezzo thrash firmato dalla band statunitense. Sezione ritmica che rimane protagonista anche nell’ultima traccia di queste letali ‘ali di guerra’: “Hole In My Soul” è un’autentica cavalcata finale in cui tutta la band getta l’ennesima goccia di sudore per quello che, come accennato in avvio di recensione, si eleva come assoluta bordata, di qualità e quantità, per questo inizio di 2019. Album da ascoltare più volte. Onore a voi Overkill, ci si vede sotto il palco.