7.0
- Band: OVO
- Durata: 00:50:43
- Disponibile dal: 12/04/2011
- Etichetta:
- Supernaturalcat
- Distributore: Goodfellas
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“Cor Cordium” è un album bastardo, furbo e insolente. E’ un filtro, uno “scrematore”. Un lavoro che separa e decanta. Un album che divide il piccolo pubblico con l’orecchio fine e insaziabile che recepisce e scava oltre temerario, da quello molto più vasto, tamarro e gregario che semplicemente non ci arriva, ubriacato com’è dal metal da poser delle major e dalla monnezza da scaffale dei grandi ditributori. “Cor Cordium” è così, una cartina al tornasole che rivela l’ignorante che c’è in tutti noi, mettendoci davanti allo specchio nudi e soli senza averci capito un cazzo, come dei salami appesi in cantina. La banshee cantante-chitarrista-bassista Stefania Pedretti e l’energumeno batterista Bruno Dorelli (ancora una volta senza la grancassa ma con la maschera da Rey Mysterio sempre ben calata in testa), tornano con un nuovo album aggregatosi ancora una volta attorno al loro innominabile chiasmo sonoro fatto di noise-rock, doom, cacofonia punk, voci allucinate, astrazione pressoché totale, e deliri interiori assolutamente indecifrabili e incomprensibili. Scherzo o serietà? Genio o follia? Improvvisazione o calcolo meticoloso? L’ascolto di “Cor Cordium” (“Il cuore dei cuori”, se il poco latino imparato al liceo non tradisce, bellissimo) suscita domande simili e mille altre imbarazzanti interrogazioni "musicali", ma le risposte, ahinoi, non si trovano da nessuna parte. Dare una lettura “descrittiva” di ciò che succede in questo lavoro contorto e bizzarro potrebbe far passare da coglionazzi colossali. Ma d’altronde quale altra opzione ci rimane se non quella, gattonando a terra tastando il terreno nell’oscurità più totale, di provare a carpire qualche indizio confortante per decifrare un lavoro che sembra non avere capo né coda? In linea generale vi diciamo che “Cor Cordium” prende l’anima dello sludge, il noise puro, antichi residui no wave, schegge post-punk, immaginario vocale “pattoniano”, paesaggi sonori a metà strada tra Flying Luttenbachers, Dresden Dolls e Burmese, e mescola tutto insieme in un manicomio fatto di dark-cabaret e un futuristico e malato teatralismo dissennato, che si dimena in un minimalismo noise putrefatto fino all’osso, fino allo scoprire, raspando con le unghie, un marcissimo midollo fatto di pazzia, e pieno di occhi svuotati, visi inorriditi, ghigni spietati e merda strisciante che sembra prendere vita da sola. Siamo riusciti a spiegarci? No? Allora prendete il disco, ascoltatelo e provate voi a descriverlo, perché noi qui abbiamo esaurito le parole!