7.5
- Band: OVO
- Durata: 00:41:37
- Disponibile dal: 09/12/2016
- Etichetta:
- Dio Drone
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Che gli OvO siano una certezza nel panorama estremo italiano e non solo è indubbio. Che la loro idea di estremo sia indefinibile, affascinante e mutaforma, è la certezza numero due. Dopo oltre quindici anni di incessante attività, sia live che in studio, la “Creatura” (nomen omen, dicevano gli antichi) bicefala di Stefania Pedretti e Bruno Dorella giunge al decimo full-length (cui vanno sommati svariati split album di alto livello) con un lavoro che è la summa delle infinite strade percorse in questi anni, che trovano la forma di un ascolto coerente e al tempo stesso dell’ennesima, affascinante decostruzione. Lungo le undici tracce di questo album c’è spazio per cadenze industrial (“Satanam” o “Immondo”), inserti elettronici malvagi e strepitosi (“Creatura”), e poi ovunque, a spuntare come funghi allucinogeni, droni ossessivi e perforanti e passaggi di violenza lavica, col risultato di un impatto strepitoso, che i Nostri non avevano mai toccato in maniera così compiuta, probabilmente. La violenza e la sperimentazione, cifre programmatiche degli OvO, riescono a questo giro a non perdere di efficacia nemmeno per un minuto, in un mirabile equilibrio tra forma canzone e sfuriate infernali che vi costringeranno a ripetuti ascolti per cogliere un’infinità di ricercati movimenti, sotto l’apparente piano del minimalismo. Sì, perché come sempre la band vede il mastodontico Bruno occuparsi dei campionamenti e della batteria più ridotta della storia del rock, uno stantuffo continuo che non prevede nemmeno la grancassa (e figuriamoci che cosa potrebbe fare a quel punto), mentre sopra la base ritmica Stefania ricama le sue sfuriate alla sei corde e impreziosisce il viaggio all’inferno con la sua voce incredibile, capace di variazioni rare ma in grado in ogni minuto di far accapponare la pelle. Nelle dichiarazioni della band, “Creatura” potrebbe essere l’ultimo album prima di una deriva totalmente elettronica; curioso che salutino il loro estremismo più rock-oriented con un lavoro che perfora i limiti del black metal per impatto e cattiveria, o forse no. Se doveste scegliere un breve estratto per farvi un’idea di cosa vi aspetta, provate la doppietta “Buco Nero”/”Buco Bianco”: due movimenti simmetrici e opposti che in soli dieci minuti ci trascinano dal black industrial più brutale (pensate a un mix tra DHG e Thee Maldoror Kollective) allo sperimentalismo elettronico figlio o pronipote di Clock DVA e analoghi genietti. Ecco, a quel punto asciugate il sangue che sgorgherà dai timpani e ripetete l’ascolto, coerentemente, in loop.