9.5
- Band: OZZY OSBOURNE
- Durata: 00:39:33
- Disponibile dal: 20/09/1980
- Etichetta:
- Epic
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Sembra quasi scontato, oggi, parlare del successo della carriera solista di Ozzy Osbourne, eppure basterebbe solo dare un minimo di contesto alla vicenda del Madman, per renderci conto in pochi istanti dell’enormità della sua decisione, alla fine degli anni Settanta. Riavvolgiamo il nastro e facciamo un salto indietro nel tempo: in casa Black Sabbath le cose non stanno andando bene, gli ultimi due album della band sono stati accolti in maniera tiepida e sicuramente Ozzy appare sempre più distaccato e distante (complice anche un consumo smodato di alcool e droghe). Le strade tra il cantante e la band si dividono e, come sempre accade in questi casi, le versioni differiscono a seconda di chi le racconta. Proviamo però a metterci per un attimo nei panni di Ozzy che, di punto in bianco, si trova fuori da una band comunque famosissima, senza una band, senza un progetto definito… Chi non sarebbe stato preso dal panico? Ozzy, come racconta lui stesso nella sua autobiografia, si chiude in un hotel di lusso con l’apparente intento di andare avanti a bere e tirare di cocaina, dando fondo a tutte le sue finanze. A salvare la carriera di Ozzy arrivano due persone, la prima ovviamente è Sharon, che prenderà in mano la sua carriera, aiutandolo a formare una nuova band e rendendo possibile il suo rilancio. Il secondo fattore chiave, invece, è Randy Rhoads, il giovane chitarrista dei Quiet Riot che viene presentato ad Ozzy e che rappresenta il perno su cui ruoterà la nuova formazione. Randy è un musicista straordinario, per inventiva, talento e capacità tecnica; uno dei musicisti più influenti nel modo di intendere la chitarra metal, un precursore quasi ai livelli di Eddie Van Halen, il cui stile forgerà legioni di nuovi musicisti. La formazione viene completata da un’altra coppia di fuoriclasse: il bassista Bob Daisley, che si era già fatto un nome suonando con i Rainbow di Ritchie Blackmore, e Lee Kerslake degli Uriah Heep. La ciliegina sulla torta, infine, è data da Don Airey alle tastiere, che pur essendo reclutato come session man, finisce per contribuire attivamente in più di un brano.
Chissà, forse sarebbe bastato davvero poco per far crollare un progetto di questo tipo, condannando Ozzy all’anonimato e ad un lento declino, invece il cantante ci consegna un album che è semplicemente perfetto, una raccolta eccezionale di canzoni che entreranno di diritto nella storia del metal e che resteranno, giustamente, dei capisaldi nei decenni a venire. Basta scorrere velocemente la tracklist per rimanere letteralmente a bocca aperta: si comincia con “I Don’t Know”, brano potentissimo, veloce, incisivo, perfetto per aprire le danze e far dimenticare subito la stanchezza delle ultime prove con i Sabbath; poi è il momento di salire tutti a bordo di “Crazy Train”, uno dei pezzi simbolo di tutto “Blizzard Of Ozz”, e l’asticella, se possibile, si alza ancora di più, grazie ad una performance stellare di tutti i musicisti. Tiriamo il fiato un attimo, prima con l’emozionante “Goodbye To Romance”, una delle migliori ballad firmate da Ozzy, e poi con “Dee”, il delicato intermezzo acustico che, ancora oggi, ci fa stringere il cuore nel ricordo di un artista eccelso come Randy Rhoads; ma tocca a “Suicide Solution” dare nuovamente fuoco alle polveri, chiudendo una prima facciata che non teme confronti letteralmente con niente e nessuno. Ci immaginiamo nei panni di un giovane ascoltatore che, dopo aver ascoltato una tale sequenza di capolavori, si trovi a girare l’LP, trovandosi per la prima volta davanti a “Mr. Crowley”, la canzone che forse rappresenta l’apice dell’intero disco. Le tastiere di Don Airey disegnano una delle introduzioni più iconiche del metal, ma tocca a Randy Rhoads il ruolo di protagonista con una performance, ritmica e soprattutto solista, letteralmente fuori scala. La melodia catchy di “No Bone Movie” ci traghetta velocemente verso le note maestose di “Revelation (Mother Earth)”, su cui spicca un sempre ineccepibile Don Airey, per chiudere poi con “Steal Away”.
L’uscita di “Blizzard Of Ozz” è un successo, soprattutto negli Stati Uniti, dove ha continuato a vendere, anno dopo anno, raggiungendo oggi la ragguardevole cifra di cinque dischi di platino. C’è un vecchio adagio, mutuato dalla psicologia, che ritorna spesso quando si cerca di esprimere quell’alchimia che ha reso così grandi certe formazioni, al di là del valore dei singoli musicisti: in questi casi si dice che il tutto è più della somma delle parti. Quello di Ozzy e dei Black Sabbath, invece, è uno di quei casi più unici che rari in cui la divisione ha portato ad una vera rinascita da entrambe le parti: i Black Sabbath, pochi mesi prima, avevano firmato il proprio eccezionale ritorno, trovando in Ronnie James Dio la risposta ai loro problemi; mentre Ozzy con “Blizzard Of Ozz” proietta la propria carriera verso la fama e la ricchezza, arrivando addirittura a superare quella dei suoi ex-compagni (anche se non sempre per motivi prettamente musicali). Se nella vostra collezione dovesse mancare questo fondamentale tassello, correte immediatamente ai ripari, con un’unica raccomandazione: evitate come la peste la riedizione del 2002, dove, per via di una lunga causa legale, le tracce di basso e batteria di Daisley e Kerslake vennero sostituite (!) da registrazioni apposite realizzate da Robert Trujillo e Mike Bordin. Una cosa inaccettabile che, fortunatamente, ha conosciuto vita breve. Per il resto, un acquisto da fare a scatola chiusa.