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- Band: OZZY OSBOURNE
- Durata:
- Disponibile dal: //2001
Trovarsi qui a recensire il nuovo disco di Ozzy Osbourne è un compito tutt’altro che facile. E’ tutt’altro che facile perché il nome di Ozzy è indissolubilmente legato alla musica rock da ormai più di trent’anni, perché senza di lui e dei suoi Black Sabbath probabilmente il 90% dei gruppi che tutti ascoltiamo ed osanniamo oggi non esisterebbe o sarebbe comunque diverso. E’ tutt’altro che facile perché Ozzy è uno dei pochissimi personaggi che continuano a conservare la “memoria storica” dell’heavy metal, a dare un senso di “continuità” ad un genere che al giorno d’oggi rischia di sfilacciarsi e vaporizzarsi troppo. Come dire, siamo tutti un po’ “figli” Ozzy Osbourne, di quell’Ozzy Osbourne che, ultimo o quasi tra i personaggi del mondo metal, continua ad apparire su tutti i giornali ad ogni nuovo disco, ad ogni concerto, ad ogni tour; di quell’Ozzy Osbourne che venti e più anni fa faceva scalpore sui palchi staccando a morsi la testa ai pipistrelli; di quell’Ozzy Osbourne che ora, quando forse molti si aspettavano un suo ritiro dalle scene, ci regala questo “Down to Earth”. Ed è un Ozzy invecchiato, sicuramente lontano dai fasti di un tempo, ad andarlo a dire ad un quattordicenne che il suo soprannome è “madman” quello magari neanche ti crederebbe. E’ un Ozzy invecchiato sì, ma neanche il peso degli anni (e sono tanti) può alterare il carisma e l’unicità di uno come lui. I fan di Ozzy Osbourne che hanno saputo apprezzare i suoi lavori degli anni ’90 possono tranquillamente spegnere il computer ed andare a comprare questo disco, non c’è da aggiungere altro. Per tutti gli altri il discorso si fa un po’ più complesso, perché è inutile negare che l’Ozzy del 2001 è molto lontano da quello di Blizzard of Ozz e di Bark at the Moon. E’ un Ozzy innegabilmente più “moderno”, sono passati i tempi di Mr. Crowley e di Randy Rhoads, ma questo lo sapevamo tutti già da prima di questo disco. Down to Earth è infatti stilisticamente piuttosto simile al discusso Ozzmosis, ha la stessa pesantezza concettuale, gli stessi suoni “marci”, lo stesso carattere di quel disco. Tra gli undici brani trovano spazio diverse mid tempos che trasudano atmosfera e fascino, qualche pezzo più graffiante (più “heavy”, volendo) e un paio di ballad reminiscenti di Goodbye to Romance. Quello dell’effettiva qualità delle canzoni è però un discorso impossibile da fare. Chi scrive si rende conto che questo disco cantato da un altro che non sia Ozzy Osbourne e, non dimentichiamocene, suonato da uno che non sia Mr. Zakk Wylde, probabilmente non lo avrebbe affascinato così tanto. Ma il “problema” è proprio quello, che dietro al microfono c’è proprio Ozzy e alla chitarra c’è proprio Zakk. E due personalità uniche come le loro non potevano che partorire un disco unico. Bentornato, Ozzy.