7.5
- Band: OZZY OSBOURNE
- Durata: 01:01:12
- Disponibile dal: 09/09/2022
- Etichetta:
- Epic
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Quando abbiamo sentito per la prima volta la notizia dell’arrivo di un nuovo album di Ozzy, molti noi, compreso chi vi scrive, avranno pensato: “è davvero il caso?”. In parte è anche colpa di noi ascoltatori e appassionati: ci sono artisti che ci hanno accompagnato per tutta la vita, che hanno fatto da colonna sonora ai momenti più importanti, e non vorremmo mai vederli ritirarsi, anche a costo di assistere a brutte esibizioni o ascoltare dischi mediocri. Certo, ci viene più facile fare questo ragionamento con arzilli vecchietti ancora in forma, ma con il buon Ozzy eravamo pronti ad alzare bandiera bianca, perchè conosciamo tutti le sue condizioni di salute: sappiamo che da anni combatte con il morbo di Parkinson, abbiamo visto le foto di lui, curvo, appoggiato al bastone, ingrigito e traballante; e abbiamo visto il suo tour venire spostato sempre più avanti (e non solo per la pandemia). Insomma, eravamo pronti al peggio, ad una versione ancora più sbiadita di “Ordinary Man”, e invece – anticipazione dopo anticipazione – ci siamo dovuti ricredere, trovandoci davanti ad un lavoro curato, levigato, ma soprattutto dignitoso per la storia e la caratura di un personaggio come Ozzy Osbourne.
Sgombriamo subito il campo dalle obiezioni più immediate: è evidente che un album del Madman, nel 2022, non ha nulla a che vedere con i suoi classici del passato. E non parliamo tanto di sonorità, quanto proprio di metodo di lavoro: Ozzy è una rockstar milionaria e il processo produttivo di un suo album non è (solo) artistico, ma è industriale, applica le logiche della musica mainstream. C’è un produttore, Andrew Watt, che è il perno attorno a cui ruota il prodotto; ci sono una pletora di ospiti di lusso, di cui parleremo più avanti; c’è un team di lavoro che si occupa della composizione, dei testi, degli arrangiamenti; e c’è la migliore tecnologia che permette ad un cantante settantatreenne di cantare come se avesse trent’anni di meno. Le premesse sono queste, è musica pop con le chitarre pesanti e, se il termine vi inorridisce, andate a guardare il curriculum di Ali Tamposi, che ha scritto tutti i testi, o dello stesso Watt: ci troverete Justin Bieber, Miley Cyrus, Dua Lipa, Ed Sheeran e tanti altri ai vertici delle classifiche mondiali. Cercare qui dentro l’artista di “Blizzard Of Ozz” o “Diary Of A Madmen” sarebbe non solo ingenuo, ma completamente inutile. Se, però, mettiamo tutte queste considerazioni da parte e proviamo a stare alle regole del gioco, allora le cose cambiano, perchè se si mette in piedi una squadra di professionisti di prim’ordine con a disposizione un quantitativo di soldi semi-illimitato, il loro lavoro lo sanno fare e anche bene.
“Patient Number 9”, dunque, ci presenta una manciata di canzoni di buon livello, piacevoli da ascoltare, suonate da personalità del calibro di Robert Trujillo, Duff McKagan, Chad Smith, Josh Homme, Taylor Hawkins, fino a delle vere e proprie leggende come Jeff Beck ed Eric Clapton. Ma il merito principale di questo disco è quello di riuscire a conciliare, per quanto possibile, l’Ozzy più recente con quello del suo passato glorioso. Lo fa con un espediente tanto semplice, quanto efficace: a suonare almeno una parte di queste canzoni, scritte da Watt e compagnia, vengono chiamati Tony Iommi e Zakk Wylde, ovvero le due persone che, assieme a Randy Rhoads, più di tutti hanno contribuito a definire il sound di Ozzy Osbourne. Così, contro ogni previsione, mentre ascoltiamo per l’ennesima volta brani come “Parasite”, “Mr. Darkness”, l’oscura “Evil Shuffle” o la splendida “Degradation Rules”, con quell’armonica che ci riporta subito a “The Wizard”, la magia si riaccende e ogni tassello va al suo posto. Soprattutto se a questo, poi, aggiungiamo una tracklist generalmente di buon livello, che trova ottimi spunti, ad esempio, in “One Of Those Days”, con la chitarra di Clapton; “God Only Knows”, con il suo afflato corale; o “Immortal”, con Ozzy che ci fa stringere il cuore nel rassicurarci che, lui, non morirà mai.
Quando leggerete queste righe, l’album sarà ormai disponibile su tutte le piattaforme, quindi non ci dilunghiamo oltre in descrizioni. Chiudiamo, invece, con un appello, che non arriverà mai al suo destinatario, ma che speriamo comunque si realizzi. Ora fermati, Ozzy. A noi piace l’idea che la tua carriera discografica si chiuda così, con dignità, sulle note di un piccolo blues, con quella tua voce sgangherata. In fondo ci hai fatto compagnia per più di cinquant’anni e questo ci sembra un buon modo di salutarci.