8.5
- Band: PAIN OF SALVATION
- Durata: 01:11:51
- Disponibile dal: 13/01/2017
- Etichetta:
- Inside Out
- Distributore: Sony
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Chissà. Chissà cosa sarebbe accaduto se Daniel Gildenlöw non si fosse trovato in pericolo di vita a inizio 2014 e non avesse dovuto trascorrere molti mesi in ospedale per ristabilirsi. Forse i Pain Of Salvation avrebbero proseguito le navigazioni nel progressive rock settantiano dei due capitoli di “Road Salt”, oppure si sarebbero dedicati ad altre sperimentazioni. Oppure… Non lo sapremo mai. Ci interessa la storia veramente accaduta, non quella basata sui ‘se’ e sui ‘ma’. Il mastermind è rimasto segnato dalle sue vicende personali, l’animo sensibile del musicista svedese non poteva che ripartire da lì, dalla dura battaglia per riprendersi la sua vita e i suoi affetti, per concepire il nuovo album della band. “In The Passing Light Of Day” è un ritorno che ha del clamoroso, per tanti motivi. I Pain Of Salvation parevano essersi allontanati dal metal, invece ci si sono rituffati in modo netto, brutale persino per certi versi. Sì, perché Gildenlöw, nel narrare una vicenda umana, la sua, colma di paure e angosce per il presente che stava vivendo e la terribile incertezza sul proprio futuro, ha voluto al suo fianco chitarre durissime, dense, plumbee, compresse come quelle dei generi ‘moderni’ oggi più frequentati dalle giovani leve. Una pesantezza inedita a questi livelli nel repertorio del gruppo, che lancia al meglio l’opener “In A Tuesday”, assommante in dieci minuti tutti i pregi odierni della formazione. Sincopi e stacchi rabbiosi si intrecciano all’istrionismo vocale del leader, coadiuvato nelle linee vocali da tutti gli altri musicisti. È evidente dal loro contributo che non stiamo parlando soltanto di un disco di Gildenlöw, ma di un certosino lavoro d’assieme. Eccoci allora davanti a partiture tastieristiche formidabili, opera di Daniel Karlsson, che iniziano a dare la loro impronta all’opera proprio nella seconda parte di “In A Tuesday”, baciata da sintetizzatori algidi e commuoventi punteggiature di piano, che esulano dal tema iniziale e sembrano provenire da uno spaziale contesto post-metal. I contrasti, le sovrapposizioni e i passaggi rapidi da cupezza a melodie liberatorie inondano un pezzo come “Full Throttle Tribe”, contenente singoli segmenti da brividi. Pensiamo solo al primo minuto e mezzo, i toni confidenziali di Gildenlöw sospinti da poche note martellanti di chitarre ribassate, i synth a danzare attorno, una tensione palpabile che attende solo di sbocciare; e lo fa alla grande, quando arriva uno dei chorus più belli e orgogliosi di “In The Passing Light Of Day”. Quindi quiete, tanta quiete indotta da tastiere eteree, utile a farci immaginare le lunghe attese in giorni d’ospedale infiniti, nervosi, ore spese a pensare e arrovellarsi. Infine rifioritura, reazione e ripresa di vitalità, evocate dal ricollegarsi al tema iniziale. I Pain Of Salvation concedono molto di se stessi, sanno essere generosi e convogliano idee mirabolanti e bizzarria in canzoni concrete e scorrevoli. “Tongue Of God”, fin dal titolo, pone di fronte a temi alti, importanti, e la musica segue questa esigenza, inerpicandosi fra molteplici interruzioni del suo flusso, momenti solenni, un cantato quasi recitato e sofferto, verso l’epos totalizzante del chorus. I cinque patteggiano col lato riflessivo della propria musica, quando regalano un lento pianistico toccante (“Silent Gold”), oppure mischiano sconforto e distensione, come in “Meaningless” e “Angels Of Broken Things”. Due fronti ben distinti rivaleggiano e avanzano assieme, ponendo da un lato i mutevoli tappeti di tastiere, dall’altro chitarre massicce, che aggrediscono e rimbombano severe. In mezzo, un range vocale smisurato, che ricorre al parlato, ai sussurri, a ricerche delle note alte come ad abbassamenti a livello di un crooner. Pregevole nel mischiare alternative, musical, voglia di stupire e sensibilità, “Reasons” si candida a tormentone dell’anno. Impossibile non farsi entrare in testa il refrain, ripetuto ossessivamente, smozzicato, raddoppiato, divorato dalle voci di tutti i musicisti, mentre le chitarre spingono su riff lividi e squarci di penombra si aprono in ogni dove, bolle di pensiero contorto dove Gildenlöw sguazza, sperimentando un simil-rappato e altri artifizi vocali. “The Taming Of A Beast” recupera esuberanza hard rock nel refrain, in contrapposizione a strofe cantate sottovoce, su un tappeto di tastiere che sembrano un triste carillon e un basso disegnante un mesto soundscape. Altro brano maiuscolo, fra i più catchy della tracklist. “If This Is The End” propone praticamente due canzoni in una: la prima è una ballata cantautorale, che sarebbe potuta entrare in scaletta durante il tour acustico immortalato in “Falling Home”, mentre la seconda mette di fronte a chitarre torrenziali, che crescono di volume e intensità, trasformandosi nel finale in un maremoto nerastro, le voci che passano dal grondare dolcezza a incutere timore e paura. “The Passing Light Of Day” si dipana con una struttura simile alla precedente, ampliando la portata emozionale sia della porzione acustica che di quella elettrica. La prima metà arriva dall’ecosistema del folk e della musica popolare dell’America profonda, una chitarra appena pizzicata funge da semplice accompagnamento a Gildenlöw; la seconda prima cavalca serena in un turbine di sogni e speranze, quindi s’intorbida e pasteggia fra inferni personali e squarci di pieno rasserenamento. Un crescendo liberatorio in contraddittoria movenza fra consapevolezza che il peggio sia alle spalle, e dubbi per un futuro tutto da scrivere. Un pezzo che fa riflettere e sospirare, cosa che i Pain Of Salvation insegnano da quando si sono fatti conoscere la prima volta con “Entropia”. “In The Passing Light Of Day” ci insegna che la viva fiamma accesa all’epoca non solo non si è spenta, ma è ora più forte che mai, grazie a un’ispirazione nuovamente lucida e una line-up consolidata, determinante nel tramutare le visioni del leader in un album all’altezza dei passati capolavori.