8.0
- Band: PALLBEARER
- Durata: 00:54:54
- Disponibile dal: 19/08/2014
- Etichetta:
- Profound Lore
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Ammettiamo senza problemi il mezzo passo falso del voto ridimensionato dato a “Sorrow and Extintion” al tempo della sua uscita, lavoro che si rivelò poi uno “sleeper hit”, uno di quei lavori che crescono piano piano, conquistando il cuore di chi ascolta lentamente con il passare degli ascolti e la cui enormità non era del tutto apparente alle orecchie del sottoscritto ai tempi della stesura della recensione. Ma come disse Cesare, il dado “fu” tratto, e il voto è ahinoi definitivo. Almeno il sottoscritto ha avuto una seconda chance in questa nuova sede: parlando del seguito di quel disco, per chiarire anche questo fatto. Detto ciò passiamo al presente: “Foundations of Burden” è un disco inattaccabile su tutti i fronti e, a differenza del primo lavoro, questo dato stavolta appare immediatamente apparente, sin dalle prime note della travolgente opener “Worlds Apart”. E’ persino una questione che va anche al di là dei gusti personali di ognuno; casomai, l’unica cosa di fronte a cui si potrebbe storcere il naso nella musica dei Pallbearer è la sua lentezza, ma anche lì sarebbero necessarie parecchie argomentazioni per far passare la tesi del qualsivoglia successo mancato, visto che parliamo di doom metal, che, volenti o nolenti, ha la lentezza come caposaldo imprescindibile. Può piacere o non piacere il genere, dunque, ma qualunque persona dotata di una basilare conoscenza delle più essenziali fondamenta di cosa significhi “qualità” nella musica sarà d’accordo sul fatto che i Pallbearer sono una band al di sopra della media e una unità di musicisti che scrivono, compongono ed eseguono musica in maniera professionale e quasi accademica. Sanno suonare, comporre ed eseguire musica in maniera esemplare, hanno inventiva, idee, creatività, tatto, gusto e tutta una serie di altre qualità perfettamente in ordine, organizzate al millimetro per garantire un risultato definitivo da veri professionisti. E, per finire, stanno piano piano persino abbandonando il loro genere di appartenenza per esondare dalle paludi marce e bitumose del doom dalle quali provengono (che quasi non rendono più loro giustizia) per creare un genere tutto loro in cui il doom ascende a nuova appendice del classic rock più fine e ricercato, seppur appunto sempre saldamente inserito entro una linealogia riconoscibilissima. “Foundations of Burden” è insomma un disco che appare da subito “superiore”, “professionale”, estremamente carismatico e pieno di carattere. Si sente che è assemblato con una cognizione e una padronanza dei mezzi delle persone coinvolte che è quella dei maestri veri. I riff hanno un gusto nella loro esecuzione che a tratti lascia basiti. Gli assoli sono la materia di veri guitar heroes (a tratti fanno persino venire in mente le iperboli da guitar god di David Gilmour, ma calate in salsa doom), e le voci di Brett Cambell sono ormai ampiamente considerate la più alta espressione mondiale del cantato pulito nel doom metal – tra i vocalist uomini perlomeno, su quello pensiamo ci siano davvero pochi dubbi. Provate a sentire cosa il carismatico frontman è riuscito a fare nella ballata acustica “Ashes” verso la fine del disco e capirete da soli di cosa stiamo parlando. Oltre all’esecuzione impeccabile e alle idee apparentemente infinite che puntellano in maniera inamovibile e inscardinabile una tale espressione sonora, dei Pallbearer non possiamo che rimarcare la incredibile personalità e il carisma pressoché infinito che mostrano. Sono una band che domina la propria musica. Le loro canzoni sembrano non metterli mai in difficoltà. Ogni riff, assolo o nota sembra essere dolcemente ammaestrata dal musicista quasi fosse il frutto di una ipnosi. Fanno scorrere la loro musica come in pochi riuscirebbero anche a sognare di realizzare. “Foundations of Burden” in questo risulta essere una sorta di disco-fiume – un fiume in piena di riff e pathos musicale che non si ferma di fronte a nulla ma che non deve distruggere alcunché per farsi strada, che non trova mai ostacoli, forte di una fluidità, di una scorrevolezza, di una sicurezza nei propri mezzi e di una verve espressiva che sembrano non trovare mai interruzioni. Rispetto al passato non possiamo che rimarcare la ancor più netta virata verso il rock classico da parte dei Nostri in questo capitolo (con la conclusiva “Vanished” rappresentante l’unica vera mazzata prettamente doom del disco) e la ricerca sempre più meticolosa della band a voler individuare, controllare e soggiogare la melodia perfetta. L’ascoltatore esperto troverà nella musica dei Nostri forti iniezioni di post-rock, folk, blues e persino (hard) rock classico reminescente dei Thin Lizzy e degli Zeppelin, nonché delle più altolocate espressioni del prog, Pink Floyd in primis. In definitiva, la band ormai è pronta al salto su major, o comunque al successo planetario. Queste canzoni sono sintomatiche di una band (come nel caso dei Mastodon o dei Deafheaven per esempio) che deve fare questa musica per mestiere, che deve diventare professionista ed essere pagata fior di quattrini per portare questi riff incredibili in giro per il mondo. I Pallbearer ormai hanno chiaramente superato la propria nicchia di origine di band doom metal “stonata”, heavy, triste e sconsolata e hanno raggiunto un livello elevatissimo di creazione musicale, divenendo autori di un metal sopraffino ed estremamente altolocato che ormai va al di là dei generi e delle scene di appartenenza; al di là del doom metal, dello sludge e di tutto ciò che ha dato loro origine. Astri nascenti è l’unico termine che ci risulta sensato usare nel parlare di questa band.