8.5
- Band: PALLBEARER
- Durata: 00:59:59
- Disponibile dal: 24/03/2017
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Dopo una gemma come “Foundations Of Burden” e tre anni dalla sua uscita, l’attesa attorno al nuovo disco dei Pallbearer era piuttosto ampia. Una progressiva variazione di approccio alla composizione sembra essere insita nella band, e già nel passaggio tra “Sorrow And Extinction” e il secondo album era possibile avvertire un forse non immediato ma innegabile senso di movimento, di esigenza espressiva che si autodivora all’interno della propria forza; in altre parole, scrittura pura, non mirata, quasi fine a se stessa nel fagocitare, la musica qui intesa come soggetto, le opere stesse dei musicisti che la formano. Ed ecco perché quando “I Saw The End” e “Thorns” hanno fatto capolino in rete abbiamo trasecolato, visto che per quanto ben composti e ovviamente brillanti, i due brani, il primo in specie, non avevano quella scintilla di trasmigrazione, quella ventata d’aria fresca che ci aspettavamo avrebbe accompagnato “Heartless”. Invece, una volta messo il disco sul piatto e arrivati alla terza traccia, “Lie Of Survival”, davvero restiamo basiti: un cambio di prospettiva, un piccolo capolavoro con base doom su incedere post-rock che ci fa pensare a God Is An Astronaut (ma anche Pelican o Russian Circles, e in diversi punti) come ai migliori Mastodon, con un’aria malinconica, autunnale e funerea per un pezzo che, a quasi metà dell’album di cui è parte, fa da curvatura e picco – temporaneo, si capisce – a quello che i Pallbearer intendono comunicare nel 2017. A maggior ragione, la subito successiva “Dancing In Madness” apre senza distorsioni, soffice, leggera, guarda agli anni ’70, ai Pink Floyd, evidenzia i pregi di un’ottima produzione e va avanti aleatoria senza apparenti irrigidimenti (che in realtà ci saranno eccome) e con delle parti solistiche che stringono il petto, sovrapposte e fluide, toccanti e suonate benissimo. In tutto questo un Brett Campbell sempre più fondamentale nel veicolare il messaggio svetta su una creatura che senza quel timbro probabilmente non avrebbe l’impatto finora riportato, e disegna spettri vocali come il miglior Ozzy avrebbe saputo fare. “Heartless” è un disco da sentire e risentire, può lasciare smarriti e necessita di familiarizzare col proprio ascoltatore per venir compreso nel suo complesso, perché se è vero che momenti come le due tracce di cui sopra danno la sensazione che il futuro della band sia destinato ad una prog-izzazione e ad un formato vagamente più rock, a seguire troviamo immediatamente una cartina tornasole della spontaneità dei quattro, un ritorno a sonorità più abituali che oramai abbiamo – però – assimilato all’interno di quella che è la proposta odierna. I Pallbearer sembrano averci preso per mano indicandoci la strada, chiedendoci di stare bene attenti a guardare la luna e non il dito: “Cruel Road” sembra essere qui per questo, con il suo accordo vorace ad aprire ad un (altro) assolo pregno di gusto e savoir-faire e un pachidermico riff sabbathiano (con un bridge puramente heavy), quanto basta per rimettere tutto in carreggiata. Così come l’incedere alla Candlemass della title track, e la finale, meravigliosa e in qualche modo riassuntiva “A Plea For Understanding”, che ci prende e ci lascia senza fiato, questa volta smaliziati, pronti ad affrontare ancora e ancora cosa “Heartless” vuole rappresentare: una proposta nuova eppure familiare, un approccio diverso ma sempre personale e talentuoso, dove i segni di riconoscimento ci sono tutti eppure non sono mai stati tanto in movimento quanto in questo caso.