8.0
- Band: PANOPTICON
- Durata: 01:01:41
- Disponibile dal: 16/10/2015
- Etichetta:
- Nordvis Produktion
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Là, nel fitto di un’antica foresta, dove i fumi, il baccano, le schizofrenie di un progresso che ci ha inghiottito e fagocitato fino a ridurci, in molti casi, schiavi alla sua mercé, sono solo un’eco lontana, soltanto un certo tipo di musica può accordarsi perfettamente al suono della natura vivente. Uno di questi rari casi è quello dei Panopticon e del loro black metal atmosferico. Austin Lunn è assurto negli ultimi anni a cantore di un’epica naturalistica che trova sempre più proseliti in ambienti metal, ma non sempre sa uscire da cliché già sfibrati dallo stravolgente utilizzo. Il musicista del Kentucky, per quanto attinga a un corpo tematico e sonoro oramai ben consolidato nell’attuale scena estrema, riesce ancora a primeggiare in questo ambito, ponendosi costantemente in anticipo sulle tendenze evolutive del settore. Ciò grazie anche allo sguardo attento posto su quanto gli accade intorno: le pallide striature shoegaze hanno ammansito una buona fetta delle ruvidezze black metal, diminuendo considerevolmente la distanza già non amplissima tra i Panopticon e band come i Deafheaven e i Ghost Bath. Nulla che non fosse già noto, peraltro, e che contribuisce a rendere ancora più malleabile e fruibile al di fuori di un’audience black metal il materiale di “Autumn Eternal”. Il quale si pone come un’opera più unitaria e meno articolata dell’immediato predecessore “Roads To The North”; l’influenza del folk americano si muove per conto proprio solo nella traccia introduttiva, mentre nel resto della tracklist opera a stretto contatto con chitarre sfuggenti, in costante trasformazione, avvampanti ad alte temperature di una sensibilità melodica che mira a riconnettere l’uomo alla sua primitiva essenza di primus inter pares con flora e fauna, non come dominus tirannico quale è purtroppo divenuto. Le sei corde inondano di pace dei sensi invece che aggredire, colme di forza salvifica e purificatrice; che si incastonino fra vertiginose progressioni in blast-beat, oppure si riempiano di vitalità in mid-tempo incalzanti, o ancora si aprano disarmanti a uno sprazzo di soave malinconia, esse fanno vibrare le profondità dell’Io con poco sforzo. La ragion d’essere e lo status di guida carismatica per un’intera scena conquistato dal progetto di Lunn è quello di non indugiare mai in un’emozionalità artificiosa, poco autentica e ruffiana. C’è un autentico vissuto dietro le avventurose canzoni qui proposte, lo sgusciar fuori dell’anima dai labili confini della fisicità per unirsi in comunione con l’ambiente circostante. Per compiere questo passo si deve lottare, non ci si può soltanto raggomitolare in un angolo ed esprimere le proprie lagnanze per le ingiustizie del mondo odierno. C’è quindi molta energia, rabbia, spirito di rivalsa in “Autumn Eternal”, l’ipersensibilità del post black metal soggiace sempre a una rettitudine metal vecchia scuola non compromessa dall’intimismo di alcune scelte stilistiche. Le melodie più aggraziate sbocciano come fiori in un campo ricoperto di cenere, ritmi furibondi e implacabili spadroneggiano nelle singole tracce e gli inserti pacifici erompono solo in selezionati momenti, scaturendo senza soluzione di continuità dalla fiumana metallica. Le escursioni di pura delizia, sia il violino di “Sleep To The Sound Of The Waves Crashing”, oppure il folk crepuscolare nella seconda parte di “Pale Ghosts”, sembrano naturali prosecuzioni di un discorso già ben avviato, invece che cambi di fronte repentini. Infine, nota di merito agli splendidi arrangiamenti tastieristici, bilancianti gli strali chitarristici, oppure improntati a un’enfatizzazione dei loro addolcimenti. Ancora una volta, non c’è un dettaglio fuori posto nell’affresco sonoro di Lunn, che sa farci godere della bellezza della natura, respirare la sua forza antica, anche nel chiuso delle nostre dimore, mentre ascoltiamo rapiti i poetici cantici black metal di “Autumn Eternal”.