8.5
- Band: PANOPTICON
- Durata: 01:15:00
- Disponibile dal: 29/11/2023
- Etichetta:
- Bindrune Recordings
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Ci sono band semplicemente uniche. Band che, pur rientrando apparentemente nei canoni classici di un genere, creano un universo artistico talmente personale da farle brillare di luce propria. Nel marasma delle band del cosiddetto black metal atmosferico/cascadian/post- che dir si voglia, i Panopticon hanno sempre rappresentato un unicum, col il loro mix di black, bluegrass e folk appalachiano unito a tematiche politico-sociali (retaggio delle origini crust-punk) e una grande sensibilità verso il lato più spirituale del rapporto uomo-natura.
La mente dietro ai Panopticon è, sin dagli inizi, Austin Lunn, originario del Tennessee, vissuto per lungo tempo in Kentucky e residente tutt’ora in Minnesota e chi conosce la band sa bene quanto dischi come, “Kentucky” o “Roads To The North” siano pregni delle proprie esperienze personali.
A due anni da “...And Again Into The Light”, il nuovo “The Rime Of Memory” (la cui uscita è prevista solo in vinile e in digitale) rappresenta la definitiva maturità di un’artista che tocca il traguardo dei quaranta con uno lavori più emozionanti e toccanti della sua carriera. Abbastanza distante da episodi come “Collapse” o “Kentucky”, pregni di quella influenza culturale americana per la quale i Panopticon diventeranno conosciuti, quest’album rimane generalmente allineato alle ultime uscite, perfezionandone però quasi ogni aspetto.
Come spiegato dallo stesso Lunn nella bellissima descrizione sul suo Bandcamp (che vi invitiamo a leggere), i cinque lunghissimi brani di “The Rime Of Memory” sono un triste canto contro l’attuale crisi climatica, nonché la lucida consapevolezza della vita come processo di invecchiamento.
I due minuti dell’introduttiva “I Erindringens Høstlige Dysterhet” ci trasporta con il suo hardinfele tra la neve e le foreste della Norvegia, e non a caso: il Minnesota è lo stato americano con la più alta percentuale di norvegesi, discendenti dalla grande immigrazione tra il 1800 e il 1900. Il brano funge di fatto da commiato per la perdita della generazione più anziana di immigrati scandinavi del Minnesota durante la pandemia.
Lo stesso mood acustico e riflessivo si ritrova nella prima metà di “Winter’s Ghost”, che in venti minuti racchiude l’esperienza dei due capitoli di “The Scars Of Man On The Once Nameless Wilderness”, trasformandosi in una intensa ed emotiva cavalcata black metal caratterizzata da momenti ambient-rock che riecheggiano i paesaggi desolati dei Godspeed You Black Emperor!; meravigliosa la violentissima parte finale in cui è il violino a fare da protagonista.
Le atmosfere si incupiscono con la successiva “Cedar Skeleton” che lambisce i territori sinfonici di un disco come “Anthems To The Welkin At Dusk” grazie al lavoro solista della chitarra e al muro di synth, per poi trasformarsi verso metà in un post-rock dal sapore cinematografico. Pazzesco poi l’arrangiamento corale della velocissima parte finale, pregna di un pathos che devasta dentro. “An Autumn Storm”, coi suoi nove minuti è il brano più corto (!) del lotto, nonché quello più classico, in cui raramente si cambia registro, rimanendo sempre sui lidi del black sinfonico.
“Enduring The Snow Drought”, pur sempre nella sua furia fatta di blast-beat e scream laceranti, è forse il momento più strettamente legato al folk americano, grazie ai suoi riff circolari che riportano alla mente le vaste foreste degli States più selvaggi e incontaminati di un disco come “Kentucky”. Gli ultimi quindici minuti del disco sono affidati a “The Blue Against The White”, che apre con un triste canto corale sorretto da atmosfere quasi shoegaze che esplodono in un disperato vortice di blast-beat, muri di chitarre e decadenti violini a supporto. È un crescendo costante e toccante, che sancisce la fine di quello che è uno dei lavori migliori di questo 2023 in ambito black metal e non solo.
“The Rime Of Memory” è un disco densissimo e dalle mille facce emotive, difficile e che richiede pazienza, tempo e dedizione per esser assorbito appieno. Un’opera personale ed intensa, in cui Lunn ha riversato tutti i sentimenti, le angosce e le paure degli ultimi tre anni, condividendole con chiunque abbia la voglia di ascoltarle. Perchè, alla fine, sono quelle di tutti.