9.5
- Band: PANTERA
- Durata: 00:56:31
- Disponibile dal: 15/03/1994
- Etichetta:
- East West Records
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Anche se molti potrebbero essere convinti del contrario, parlare di “Far Beyond Driven” è piuttosto difficile per via della sua natura controversa; non a caso l’opinione generale della fauna metallica riguardo a quest’album è – più o meno – spaccata in due: qualcuno lo considera un capolavoro, qualcun altro l’inizio della fine dei Pantera. Accade ciò perché quest’opera rappresenta una svolta nella carriera (con Phil Anselmo) della band: se “Power Metal” rappresentava una presa di coscienza di ciò che era possibile fare e i successivi due album, “Cowboys From Hell” e “Vulgar Display Of Power”, portavano a compimento completo quest’asserto miscelando power-thrash e hardcore scanditi dal groove del blues, “Far Beyond Driven” rappresenta l’attraversamento del confine tra un’accezione di sound più ‘classica’ e una più estrema. Perché questo fosse possibile c’è voluta, a nostro avviso, una buona dose di sfrontatezza: non dimenticate che il momento in cui i Pantera hanno scalato classifiche e gradimenti coincise con un periodo critico per l’heayv metal (primi anni ’90) che, orfano di nomi trainanti (a partire dai Metallica che si stavano reinventando rockstar), vedeva diminuire di giorno in giorno la sua popolarità in favore del rock di Seattle; poteva dunque essere molto più semplice, per una band che – assieme ad altre come i Sepultura – aveva iniziato a figurare come nome di spicco, continuare a battere la strada del successo ed adagiarsi, anziché incrudire ulteriormente la propria proposta sotto la spinta di un musicista come Dimebag Darrell o le smanie autodistruttive di Phil Anselmo. Ovviamente non siamo così benpensanti da celebrare quest’album solo per il suo significato storico: ciò che lo consegna definitivamente al nostro gradimento ultimo è precipuamente la qualità delle composizioni che, muovendo tutte dalla base ben nota, riconfigurano la musica dei Pantera evolvendola nello stile, il quale inizia ad incorporare in modo manifesto elementi sludge (tenete presente che, proprio in quegli anni, Phil Anselmo stava lavorando a “Nola”), con tutti i relativi annessi (chitarre ancor più compresse, cantato ancor più estremo e attitudine ancor più negativa). Già dall’iniziale “Strength Beyond Strength”, concettualmente vicina all’ardore hardcore di una “Fucking Hostile”, l’ascoltatore viene lasciato in balia di un rallentamento conclusivo denso e fangoso, per poi continuare ad essere pestato dalle quadrature ritmiche di “5 Minutes Alone”, pericolosamente più deragliante ad ogni giro di vite, e “Becoming”, con il suo cambio di marcia sfociante in un ritornello disperato. Si continua sullo stesso lastricato di pessime intenzioni grazie al nervosismo compresso, e talvolta parossistico, di “Slaughtered” e “25 Years”, perfettamente legato ad un altro ‘nervo’, quello del southern, mai come in questo lavoro evidente (“Hard Lines, Sunken Cheeks”) e ‘molesto’ (“Shedding Skin”), fino all’esplosione d’orgoglio redneck di “I’m Broken”, in cui si mescolano un riff portante tanto blues quanto epico, nella sua estetica sudista, e un ritornello grugnito, decisamente in linea col malessere radicato del cantante. Ulteriore sorpresa di quest’album, tale da contribuire ad una varietà maggiore di quella che un ascolto superficiale lascerebbe intendere, è la presenza di pezzi inaspettati, mimetizzati nella tracklist come lo spoken word di “Good Friends And A Bottle Of Pills”, inasprito da una chiusura paranoica che non ci stupirebbe trovare tra i motivi ispiratori di una “Scissors” degli Slipknot, la tiratissima “Use My Third Arm”, in pratica il death metal riletto dai Pantera, oppure la cover di “Planet Caravan”, che prende un po’ il posto del tradizionale pezzo semilento, tipo “Cemetery Gates” o “Hollow”. E’ chiaro, a questo punto, come propendiamo per la corrente che considera “Far Beyond Driven” un capolavoro, titolo di cui spesso vanno fregiandosi quelle opere che hanno saputo segnare un’epoca, definendone il suono e i canoni espressivi.