7.0
- Band: PANZERCHRIST
- Durata: 00:45:16
- Disponibile dal: 28/07/2023
- Etichetta:
- Emanzipation Productions
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Questa volta non c’è un carro armato in copertina, ma non si fa fatica a riconoscerli. In effetti, passano gli anni – ben dieci dal precedente “7th Offensive” – cambiano i musicisti (più e più volte), eppure i Panzerchrist restano sempre mediamente riconoscibili. Per questo ennesimo ritorno, il leader Michael Enevoldsen ha reclutato nuovi adepti, rivoluzionato ancora una volta la line-up e messo insieme otto composizioni con cui portare avanti una storia che ormai attraversa tre decenni.
Con una fondazione risalente al 1993, i Panzerchrist potrebbero essere visti come una band della cosiddetta vecchia scuola, tuttavia nel corso della loro carriera i danesi hanno spesso aggiornato il proprio sound, con un death metal che in più circostanze ha virato verso il black metal, incorporando anche le tastiere e sovente adottando una produzione fredda e moderna, così da stemperare e caratterizzare le sonorità, distinguendole da quelle imperanti nell’underground death metal europeo. Il nuovo “Last Of A Kind” insiste su queste coordinate, incentrando la propria proposta su un black-death metal il cui focus si sposta da un rassicurante groove verso nenie e synth oscuri che fanno talvolta intravedere rimandi a gente come i Dark Funeral. Il riffing quadrato e l’approccio più stentoreo di marca death metal vengono quindi spesso rimpiazzati da un ‘tremolo picking’ prettamente scandinavo che contribuisce ad aprire scenari più gelidi, ideali per accogliere evanescenti punteggiature di tastiera e sample. Anche la voce della nuova arrivata Sonja Rosenlund Ahl, decisamente più improntata sullo screaming che su quel cupo growling in dote ai suoi predecessori, contribuisce a sottolineare ulteriormente questa rinnovata impronta ‘blackened’ e l’osmosi tra reminiscenze del passato e libere espressioni votate alla modernità.
In una tracklist tutto sommato compatta, spiccano in particolare il pezzo che dà il titolo al disco e la conclusiva “Juniper Creek”, lunghi episodi nei quali i Panzerchrist riescono effettivamente a trovare un interessante compromesso tra veemenza e un ipnotico trip emozionale. Niente male nemmeno il resto, ma talvolta si ha l’impressione che ai danesi manchi quel guizzo decisivo in grado di nobilitare un buon brano black-death, così da portarlo a diventare una vera e propria apoteosi di catarsi e malignità. In ogni caso, per essere una band in attività ormai da trent’anni, si può dire che Enevoldsen e soci continuino a difendersi piuttosto bene, dimostrandosi coerenti, forse a tratti un po’ ostici, ma mai del tutto privi di feeling.