6.5
- Band: PANZERCHRIST
- Durata: 00:40:00
- Disponibile dal: 06/12/2024
- Etichetta:
- Emanzipation Productions
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C’è un equilibrio piuttosto delicato tra il consolidamento e il ritorno alle origini, e con “Maleficium Part I” i Panzerchrist sembrano voler camminare su questa linea sottile evitando di sbilanciarsi troppo. L’album conferma infatti le loro classiche radici death metal quadrate e imponenti, mantenendo al tempo stesso quei piccoli tocchi atmosferici che, pur non rivoluzionando del tutto la loro formula, avevano aggiunto una diversa profondità al loro sound sul precedente “Last of a Kind”, uscito circa un anno e mezzo fa.
Il cuore dell’album rimane dunque fedele alla tradizione generale della band, con ritmiche complessivamente marziali – che segnano un ritorno al mood di un tempo – e un’attitudine bellica che si percepisce in varie situazioni. Tuttavia, le incursioni di synth e l’uso più frequente di effetti sonori conferiscono pure in questa circostanza un’aura più melodica e sfumata, allontanando il disco dal solito groove per avvicinarlo a quel death-black metal atmosferico appunto sperimentato su “Last…”. Questa scelta richiama inevitabilmente paragoni con formazioni come The Monolith Deathcult e The Project Hate, anche se i Panzerchrist evitano di abbracciare del tutto il lato più bizzarro di questi colleghi, preferendo mantenere un approccio più diretto e ‘terreno’.
Brani come “Blood Leeches” mettono in mostra la capacità della band di combinare ritmiche travolgenti con una costruzione strutturale ben ponderata. La solidità del pezzo dimostra che, anche senza reinventarsi granché, i Panzerchrist possono ancora produrre tracce incisive e memorabili. Tuttavia, non si può ignorare che in altre parti dell’album la spinta creativa e l’ispirazione sembrino affievolirsi: l’impressione è che il gruppo su “Maleficium Part I” abbia recuperato e fuso vari tipi di soluzioni dal proprio repertorio più datato, creando un’opera che, pur a volte efficace, rischia in altri momenti di offrire un netto senso di déjà vu.
Detto questo, gli echi black metal, presenti soprattutto nei riff, rappresentano uno degli aspetti più intriganti del disco, evocando la scuola svedese con un tocco di gelo e ferocia. Questi passaggi contribuiscono a spezzare la prevedibilità del rinnovato incedere death metal, arricchendo la palette sonora complessiva. Allo stesso tempo, però, l’utilizzo dei synth, sebbene funzionale nel creare un tipo diverso di atmosfera, a tratti sfocia nel pacchiano. Non è una grande sorpresa, considerando che i veterani danesi non hanno mai puntato su un’eleganza sofisticata, ma su un impatto crudo e diretto spesso particolarmente ostentato.
In definitiva, rispetto al precedente ”Last of a Kind”, l’album sembra quindi meno propenso a osare, adagiandosi su un terreno più sicuro, consolidando invece di guardare nuovamente altrove, per un’esperienza magari non sempre ispiratissima, ma comunque mediamente solida e coerente con il percorso del gruppo. Resta da vedere se il capitolo successivo, già preannunciato nel titolo, saprà offrire quel guizzo in più che qui sembra solo accennato.